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JAMES E. HANSEN
<La terra è vicina ad oltrepassare i “punti critici” del cambiamento climatico. I gas serra rilasciati nell’atmosfera stanno raggiungendo un livello che darà inizio a effetti pericolosi, molti dei quali irreversibili tra cui lo sterminio di un numero incalcolabile di specie, lo scioglimento dei ghiacciai, l’innalzamento del livello del mare e condizioni climatiche regionali estreme e più intense.
Come società ci troviamo di fronte a una scelta definitiva: passare alla successiva fase della rivoluzione industriale preservando e restaurando le meraviglie del mondo naturale, allo stesso tempo mantenendo ed espandendo i benefici del progresso tecnologico, o ignorare il problema condannando l’umanità e le altre creature viventi alla lotta su un pianeta sempre più desolato [...]
[...] Se le meraviglie della natura, e il nostro benessere sociale ed economico debbono essere preservati, la nostra società deve cominciare a sospendere l’uso del carbone fino a che le emissioni di biossido di carbonio non vengano catturate e immagazzinate.
Continuando a costruire impianti a carbone senza la cattura del carbonio porterà solo ulteriori disastri nel futuro dei nostri nipoti e pronipoti.>
da "La scelta sbagliata del Massachussets", 2 gennaio 2008
<[...] Infine, Primo Ministro Fukuda, voglio ringraziarla per il suo contributo nel rendere chiara ai governanti degli 8 paesi la grande urgenza delle azioni che sono necessarie per affrontare il cambiamento climatico. Potrei dare un suggerimento per un approccio da usare al fine di attirare la loro attenzione? Se i governanti trovano che non sia conveniente eliminare gradualmente tutte le emissioni degli impianti a carbone e prendere misure per garantire che i combustibili fossili non convenzionali vengano lasciati nella terra dove si trovano o usati solo a zero emissioni, allora potrebbero dedicare un pò del loro tempo a scrivere una lettera da lasciare alle generazioni future.
Questa lettera dovrebbe spiegare che i governanti sono consapevoli del loro fallimento -e che, di conseguenza, lasciano in eredità un pianeta con gli oceani che si riscaldano, i ghiacci che si sciolgono, il livello del mare che sale, l’aumento dei fenomeni climatici estremi e l’estinzione delle specie- ma che fare i cambiamenti necessari ai nostri sistemi energetici non solo costerebbe troppa fatica ma li metterebbe contro gli interessi economici che insistono nel voler bruciare fino all’ultima goccia di combustibile fossile.
Scrivendo questa lettera, almeno, i governanti avranno una visione precisa del loro posto nella storia.>
dalla Lettera al Primo Ministro del Giappone
Yasuo Fukuda, 3 luglio 2008
Intervista a James Hansen, Frontline, 10 gennaio 2007
Il direttore del Goddard Institute for Space Studies della NASA, James Hansen, è stato uno dei primi scienziati che ha parlato dei pericoli del riscaldamento globale, durante una audizione al Senato nel 1988. Quasi 20 anni dopo è tornato alla ribalta quando i funzionari dell’ufficio stampa della NASA tentarono di sopprimere le sue dichiarazioni pubbliche sull’argomento.
In questa intervista James Hansen racconta quell’episodio e gli sviluppi della scienza del riscaldamento globale tra il 1988 e il 2007.
D: Voglio cominciare dal 1988, l’anno in cui lei venne nominato “il padre del riscaldamento globale”-che le piaccia o no. Ricorda quell’estate del 1988?
Si, me la ricordo benissimo. Fu un’estate molto calda. Ci fu una grande siccità nel Midwest.
D: Fu allora che cominciarono ad emergere i problemi del clima?
Bè, rese molto più facile parlare del riscaldamento globale. Ci fu un problema e cioè che di solito il Congresso preferisce che le audizioni avvengano in altre stagioni e sospende i suoi lavori in estate perchè Washington è una città calda e umida. Comunque, avevamo suggerito che si dovesse parlare del riscaldamento globale proprio durante l’estate perchè la gente avrebbe prestato più attenzione all’argomento. E certamente, in questo senso, ha funzionato....
D: Perchè decisero che fosse lei a parlare?
A dire il vero, vennero a parlare numerosi scienziati e ci furono molte altre audizioni. Comunque, credo fosse perché avevo fatto una dichiarazione piuttosto forte. E la sera prima avevo pensato a come avrei risposto, che linguaggio avrei usato per farmi capire. E decisi che avrei detto che era ora di smettere di girarci intorno e che le prove degli effetti delle emissioni dei gas serra c’erano ed erano molto forti e stavano influenzando il nostro clima....
D: Però davanti ai senatori, anche lei non fu proprio diretto. Non disse “riscaldamento globale”.
No, dissi che ero sicuro al 99% che il mondo si stava riscaldando e che c’era un alto grado di probabilità che ciò fosse dovuto ai gas serra prodotti dall’attività umana. Credo che sia stato quel “99%” ad attirare l’attenzione, perchè certo era molto alto.
D: Quale fu il consenso della comunità scientifica allora? Il 99%?
No e ci furono molte reazioni a quella dichiarazione, in seguito. Ci furono un paio di riunioni scientifiche in cui si criticò la eccessiva forza della mia dichiarazione.
D: E’ insolito sfidare il consenso della comunità scientifica. Perchè lo ha fatto?
Non sono sicuro di averlo fatto. Credo piuttosto che il consenso sia stato sfidato da quello che gli scienziati volevano dire e che continua ad essere un argomento che ha veramente bisogno di essere discusso... Gli scienziati sono cauti... e va bene. Ma.... questo crea un problema, perché non abbiamo molto tempo per cominciare a cambiare le tecnologie e le infrastrutture dell’energia per poter evitare quelli che sono i reali pericoli del cambiamento del clima.
D: Ma non sono gli scienziati solitamente, a deciderlo. Lei ha assunto un ruolo molto interessante che è diverso. Lei ha detto: “Attenti! Sta arrivando!” invece di dire “Sono nel mio laboratorio e vedo questo problema”.
Già... e credo che si ancora più vero oggi. Dopo i fatti del 1988 e dell’89, decisi di fare ricerca scientifica e di uscire dal mondo della comunicazione dove sono tornato solo due anni fa, poiché abbiamo raggiunto un punto limite. Siamo ai limiti. Scientificamente è molto chiaro che se non facciamo niente nei prossimi anni passeremo il punto oltre il quale non sarà possibile prevenire enormi e pericolosi cambiamenti.
D: Lei non è stato il primo scienziato ad accorgersi del riscaldamento globale. Chi è stato prima di lei?
Credo che il primo ad aver avuto una grande intuizione del problema, è stato John Tyndall. Un fisico inglese che negli anni ’50 e ’60, del secolo XIX, sostenne che i cambiamenti avvenuti dall’era glaciale al periodo caldo interglaciale, fossero dovuti alle variazioni nei gas serra. Fece misure di laboratorio per dimostrare che il biossido di carbonio –CO2- aveva assorbito lo spettro infrarosso e avrebbe potuto causare un cambiamento nella temperatura. Perciò aveva capito il fenomeno fondamentale e questo accadeva 150 anni fa.
Poi, il chimico svedese Svante Arrhenius, nel 1890, fece un ulteriore passo avanti e con i suoi calcoli ottenne una risposta entro il fattore 2. Ebbe molto credito.
D: Ci sono dei momenti nella scienza- nel suo lavoro o in quello di altri- che mostrino la sequenza: “ Pensiamo di aver ragione- siamo molto molto sicuri di aver ragione- adesso sappiamo di aver ragione”? Ci sono progressioni di questo tipo?
Negli anni ’70 noi ed altri scienziati facemmo dei calcoli che dimostrarono come il cambiamento non fosse dovuto solo a CO2 ma che c’erano cambiamenti dovuti ad altri gas serra... All’epoca del nostro rapporto del 1981, potevamo già constatare che la terra stava diventando più calda e ciò era coerente- o almeno non era incoerente- con l’ipotesi che la causa principale fosse il biossido di carbonio.
D: Nel 1981, quando ha pubblicato quel rapporto, era in grado di fare delle proiezioni? Poteva dire “Sappiamo abbastanza bene che cosa accadrà nel 2006, nel 2016?
I nostri calcoli mostravano che verso l’anno 2000 i segnali avrebbero cominciato ad essere avvertiti e che fondamentalmente erano corretti. Adesso certamente lo percepiamo in tanto rumore.
D: Vuol dire che tutti possono vedere che qualcosa sta cambiando?
Si, si può vedere, se si considerano le medie globali. In una data località, il rumore... “rumore” è la variabilità naturale, le fluttuazioni che avvengono dovute al caos del sistema- è localmente ancora maggiore del riscaldamento. Perciò se si vuole vedere l’effetto localmente, lo si deve osservare lungo un periodo di tempo significativo.
D: Quindi, quando fa più caldo del solito, come la scorsa settimana, non posso dire “è il riscaldamento globale!”
No, non può, ma se si guarda a un certo numero di anni e lo si vede accadere costantemente- non ogni anno, ma a un intervallo coerente con le proiezioni che si fanno sul modo in cui la probabilità dovrebbe cambiare- allora si può vedere un effetto ed è legittimo attribuirlo al riscaldamento globale.
D: Perciò, lei nel 1981 ha potuto fare delle proiezioni al 2000 perché sapeva che avrebbe visto gli effetti. C’è un altro momento dopo il 1981 in cui lei ha scritto un altro rapporto o c’è un altra parte della scienza che ne parla?
Dopo il 1981, trovammo i dati dalle carote di ghiaccio che ci dimostravano come i gas serra erano cambiati in passato e come era cambiata la temperatura della terra.... Questo negli anni ’80. La ricerca durò alcuni anni, ma costituì una buona parte della base del mio rapporto del 1988 che era una combinazione dei dati del paleo-clima e di un modello globale tridimensionale. C’era stato un ulteriore riscaldamento negli anni ’80 che era coerente con l’aumento dei gas serra.
Ma è soltanto oggi, nella prima decade del XXI secolo, che i cambiamenti sono diventati abbastanza grandi e coerenti. Negli ultimi 30 anni, la terra si è riscaldata di due decimi di gradi Celsius ogni dieci anni, perciò adesso è uscita dal ‘rumore’. La maggior parte del riscaldamento degli ultimi 150 anni è avvenuta negli ultimi 30, come pure l’aumento dei gas serra. Quindi adesso la storia è ancora più drammatica.
D: Quando lei ha parlato nel 1988, ha prospettato ai senatori presenti come sarebbe stato il mondo nel 2000 e nel 2016 e nel 2030? Avrebbe potuto farlo?
Ho provato a farlo, in parte, prendendo in considerazione il numero di giorni in cui la temperatura era sopra i 90°F in estate e facendo presente che ci sarebbero stati cambiamenti drammatici nelle città come Wachington D.C, o Omaha, Nebraska, di cui avevamo i grafici. Quello che non potemmo fare fu dire quale sarebbe stato l’impatto sul ciclo idrologico.
D: Cioè?
Cioè non potemmo parlare della siccità, degli incendi nelle foreste e delle forti piogge e delle alluvioni. Tutto quello che potemmo dire riguardava la probabilità che quei fenomeni aumentassero con l’aumento del riscaldamento globale, poiché un aumento del riscaldamento della superficie produce una maggiore evaporazione. Per cui, nei periodi e nei luoghi aridi, si avranno condizioni di aridità più esasperata, ma nel complesso, si avrà una maggiore evaporazione, specialmente degli oceani e perciò pioverà di più. Così nei periodi e nei luoghi piovosi, si avranno piogge più pesanti e alluvioni più estreme.
Ma adesso possiamo veramente dire più di così, perchè possiamo vedere che un aumento di evaporazione nei tropici provoca piogge più pesanti. Allo stesso tempo nei sub-tropici c’è una maggiore aridità. Se si osservano le mappe del mondo, i luoghi che diventano più aridi- specialmente gli Stati Uniti Occidentali, le regioni Mediterranee e parti dell’Africa, la regione del Sahel al limite meridionale del Sahara, vediamo la tendenza all’inasprirsi della siccità e degli incendi. E questo è il pericolo: se continuiamo su questa strada, avremo delle mega siccità nell’Ovest e ulteriori problemi climatici regionali che si aggiungono a quelli globali.
D: Voglio farle un’altra domanda sul 1988. Ho letto che lei ha dovuto sottoporre il suo rapporto all’OMB (Office of Management and Budget) e che volevano anche allora nascondere quello di cui lei stava parlando.
Si, era il 1989, e il mio rapporto venne alterato dall’OMB. Questo mi disturbò e mandai un messaggio al Senatore Al Gore, che presiedeva quelle audizioni e gli chiesi di farmi delle domande su alcune frasi contenute nel mio rapporto, perchè volevo che fosse chiaro che quelle non erano le mie parole ma che erano state cambiate dall’OMB. Ed ottenni un po’ di attenzione.
D: Quindi era abituato ad essere censurato quando si trattava del riscaldamento globale.
Si. Infatti, era cominciato alcuni anni prima, credo nel 1986 o nel 1987, quando avevo sottoposto il rapporto e la NASA lo inviò all’OMB. Non avevo mai capito completamente la logica per cui l’OMB dovesse verificare i rapporti sulle ricerche scientifiche ma, comunque, volevano fare dei cambiamenti e io non ero d’accordo e così testimoniai come un comune cittadino.
Ma nel caso del 1989 quando chiesi ad Al Gore di chiarire quale fosse la mia opinione contro l’OMB, il senatore mi chiamò a casa il giorno prima e mi chiese se fossi d’accordo nel raccontarlo al New York Times e io risposi che per me andava bene.
D: Perché pensa che il suo rapporto fosse particolarmente interessante per l’amministrazione Reagan tanto che l’OMB voleva censurarlo?
Credo che li avesse colpiti perchè aveva attirato l’attenzione del pubblico. Nel 1981 l’articolo che scrissi su Science- e che conteneva la previsione che il mondo negli anni ’80 sarebbe diventato sempre più caldo e che verso il 2000 avremmo cominciato ad assistere alla scomparsa dei ghiacciai e probabilmente all’apertura del famoso Passaggio a Nord-Ovest- fu pubblicato sulla prima pagina del New York Times da Walter Sullivan. Il risultato fu che il Dipartimento dell’Energia interruppe i finanziamenti perchè- molto semplicemente- in quell’amministrazione non volevano che ci fosse attenzione su quel problema, perchè aveva delle enormi implicazioni per l’industria dei combustibili fossili.
D: Andarono meglio le cose durante l’amministrazione Gore-Clinton? Era più facile divulgare l’informazione scientifica?
Certamente. Le cose erano diverse. Ho avuto problemi con varie amministrazioni, sia democratiche che repubblicane, perchè ho voluto descrivere la scienza esattamente come io la vedo, invece di adattarla alle diverse politiche. Ma certamente durante gli anni di Clinton fu più facile dire che il riscaldamento globale era vero; cioè, loro non lo mettevano in dubbio. Non riuscirono a fare molto per ridurre le emissioni ma non misero in dubbio la scienza.
D: Pensa che l’amministrazione Gore-Clinton avrebbe fatto dei passi avanti rispetto a quella di Bush I?
Si. Pensavo che avrebbero fatto molto di più. La maggior parte di quell’amministrazione non aveva il controllo del Congresso e questa è una spiegazione, e, comunque durante l’amministrazione Clinton la quota delle emissioni globali attribuita agli USA aumentò...
Spesso è l’opposizione ad avere più influenza sui soggetti che bisogna influenzare, cioé in questo caso l’industria dei combustibili fossili. Perciò se l’amministrazione Bush avesse deciso di agire in qualche modo, credo che avrebbe avuto più successo di Clinton. Ma sfortunatamente, come scoprimmo, non erano interessati a farlo....
D: Nel 2000 il candidato George Bush propose di mettere un tetto al carbone, cosa che ha fatto da governatore del Texas. Se avesse continuato su quella strada, se ci fosse stata un’azione per la riduzione delle emissioni di CO2 da parte di un presidente repubblicano, avrebbe fatto qualche differenza?
Si, credo che avrebbe fatto una grande differenza. Credo che sarebbe stato esattamente quello di cui avevamo bisogno per prendere un’altra strada... che è quello che dobbiamo fare per mantenere l’ulteriore riscaldamento globale sotto i 2 gradi Fahrenheit.
Ma in realtà, quello che abbiamo fatto è stato seguire la vecchia strada e le emissioni hanno continuato a crescere del 2% all’anno. Siamo ormai al settimo anno del nuovo decennio, del nuovo secolo, e siamo arrivati quasi a un livello di emissioni superiore del 15% rispetto al 2000. E questo rende più difficile tornare indietro e se non facciamo qualche cambiamento nei prossimi anni, diventerà impossibile farlo.
D: Quali furono le ragioni del disaccordo con l’amministrazione Clinton?
Erano molto più sottili... Io avevo delle difficoltà a descrivere il fenomeno a livello scientifico. Per esempio, mi fu chiesto di fornire le mappe relative all’impatto del riscaldamento globale sulle precipitazioni e sulla siccità e io dissi “non ho fiducia che il nostro modello climatico possa farlo, perciò non mi sento di fornirvele.” E questo fece arrabbiare Al Gore, ma...
D: Ma il modello non era sufficientemente affidabile.
Ma il modello non era sufficientemente affidabile e da allora, ci siamo incontrati e abbiamo cominciato a lavorare, perchè il nostro punto di partenza era abbastanza simile. Tutti e due concordavamo sul fatto che l’esperimento che stavamo facendo con il clima fosse molto pericoloso e che avremmo avuto bisogno di tempo. Io però non ero d’accordo su quanto avremmo potuto dire riguardo agli aspetti specifici del sistema climatico.
D: E lui voleva spingerla a dire più di quanto lei avrebbe voluto dire.
Proprio così.
D: Andando perfino oltre la sua volontà?
Si.
D: Nel 1990 si fanno avanti gli scettici della scienza..
Non mi piace molto la parola “scettici” Li chiamerei “oppositori” perchè lo scetticismo è parte della scienza, tutti gli scienziati sono scettici. Se come scienziato non sei scettico non sei destinato ad avere molto successo. Devi continuamente domandarti quanto le tue teorie si accordano col mondo reale e non puoi evitarlo.
Ma quello che gli oppositori stanno facendo è agire non da scienziati ma da avvocati, pertanto presentano solo le prove in favore del loro caso piuttosto che essere obiettivi. E coloro che vengono scelti perchè sono sostenuti dalle industrie -che sostengono gli oppositori- sono di solito persone che hanno una grande dialettica, e a volte sono affabili; quanto alla gente comune, è difficile per loro stabilire se uno scienziato o un oppositore ha ragione, perchè hanno la sensazione che la discussione sia tecnica riservata ai teorici.
E’ molto simile a quelle che è successo nel caso delle industrie del tabacco, quando sceglievano un negazionista che chiedesse le prove della medicina sul fatto che le sigarette provocano il cancro ai polmoni. Ha funzionato per un po’ e sfortunatamente continua a funzionare ancora per i combustibili fossili. Il pubblico non capisce ancora quale sia la storia dal punto di vista scientifico.
D: Lei vuol dire che prendono i soldi dalle compagnie petrolifere, che si comportano come le industrie del tabacco. Ma i critici riferiscono che lei avesse dichiarato di votare per John Kerry....
Certo, l’ho detto, come privato cittadino e in parte per la mia conoscenza sul tema dei cambiamenti climatici, ho deciso di votare per Kerry perchè ho pensato che avrebbe affrontato l’argomento più seriamente. Non sono nemmeno un Democratico- Sono un indipendente dichiarato. Ho anche detto che la mia preferenza sarebbe andata a John Mc Cain; se fosse andato al ballottaggio avrei preferito votare per lui perchè penso che abbiamo qualche problema con l’economia e lui ha cercato di affrontare quel problema insieme a quello del riscaldamento globale. Credo che ci sia un tema fondamentale per gli USA e cioè che abbiamo bisogno di avere dei rappresentanti e un governo che non sia dipendente dai contributi legati a interessi particolari. Abbiamo cercato di fare una campagna per la riforma della finanza, ma non si è mai realizzata. I nostri rappresentanti, i nostri senatori, il nostro esecutivo sono molto dipendenti da quel genere di contributi e credo che sia diventato ovvio nel contesto del problema del riscaldamento globale, che ha un grande impatto e rende difficile ottenere il tipo di cambiamenti di cui abbiamo bisogno per affrontare il problema... Ma di fronte ai due candidati in ballottaggio ho pensato che Kerry fosse preferibile e non vedo alcuna ragione per cui non avrei dovuto esprimere la mia opinione e spiegare le mie ragioni.
D: Aveva la sensazione di essere sotto attacco?
Sono più preoccupato del fatto che la scienza viene distorta. Il problema è quello della traduzione del discorso scientifico in un linguaggio che il pubblico e i politici possono comprendere ma che ancora non viene fatto in modo valido ed è qui che penso non sia stato fatto un buon lavoro.
Penso che sia ancora un problema. Infatti, io penso veramente che sia diventato peggio, da una prospettiva scientifica, e quello che il pubblico e i politici conoscono del problema è molto lontano dalla verità. E questo in parte è colpa di noi scienziati, secondo me. Non siamo dei bravi comunicatori.
D: E che cosa è, secondo lei, che il pubblico non capisce?
Non capisce che dovremo fare dei cambiamenti fondamentali, perchè non potremo bruciare tutta l’energia fossile senza creare un pianeta differente. E ciò significa che dobbiamo trovare forme di energia alternativa, dobbiamo porre una maggiore enfasi sull’efficienza energetica.
Le cose che dobbiamo realmente fare portano molti altri benefici. Uno dei nostri fallimenti nella comunicazione, credo, sia l’aver presentato la situazione come una storia triste e tragica, mentre realmente ci sono molti benefici nel prendere la strada di una minore dipendenza dalle energie fossili.
D: Questa è anche una scelta, vero? Dobbiamo fare una scelta.
Proprio così.
D: E lei ha delineato una di queste scelte, cioè cambiare il modo in cui bruciamo il carbone; quali conseguenze avrebbe il non farlo?
Questa è la difficoltà. Ecco perchè dobbiamo comunicare che dobbiamo fare una scelta molto presto, perchè se non la facciamo, allora creeremo un altro pianeta. Sta diventando una situazione incontrollabile.
D: Lei fece un discorso all’inizio su un tempo di svolta a distanza di 10 anni. Che cosa accadde dopo il suo discorso?
Lei si riferisce al discorso del 2005 all’Unione Geofisica Americana... ci fu una reazione immediata. Io preparai un discorso accessibile ai media su Internet che fu riportato nell’International Herald Tribune e nella Rassegna Bibliografica del New York Times; fece molto colpo la discussione sulla nostra vicinanza al punto di svolta.
Fece anche colpo sull’ufficio affari pubblici del quartier generale della NASA che incominciò a limitare la mia possibilità di comunicare con i media.
D: E come lo hanno fatto?
L’hanno fatto attraverso gli addetti agli affari pubblici che mi fecero sapere che avrei dovuto sottoporre i miei discorsi prima di farli e che prima di parlare con i media, avrei dovuto ottenere l’approvazione, in qualunque caso.
D: E lei non aveva sottoposto il suo discorso sul “punto di svolta” a nessuno.
No, non l’avevo fatto. E anche per la nostra analisi che pubblicammo sul Web, ci dissero che non avremmo più potuto farlo senza l’approvazione del quartier generale della NASA e così per qualunque altra cosa che avessimo pubblicato sul Web.
D: Glielo hanno scritto? Come glielo hanno comunicato?
Per lo più a voce. C’erano delle teleconferenze tra gli affari pubblici della NASA e il centro aerospaziale Goddard nel Maryland e a New York, in cui si discuteva su quali restrizioni avrebbero dovuto applicarmi negli incontri con i media.
D: E se lei non le avesse accettate?
Bè, mi fecero sapere che ci sarebbero state delle terribili conseguenze. Il quartier generale disse al responsabile degli affari pubblici a New York che ci sarebbero state conseguenze terribili.
D: E ci furono le conseguenze previste?
No. Persi alcune occasioni di comunicare. Per esempio, ci fu l’intervista che dovevo fare con la Radio Pubblica Nazionale e gli affari pubblici dissero che l’intervista l’avrebbe fatta il quartier generala della NASA.
D: La posizione scientifica della NASA sarebbe stata differente dalla sua?
Presumo di si, ma di fatto l’intervista non ci fu mai, perchè la Radio decise di non voler parlare con il quartier generale della NASA.
Dopo che fui costretto a togliere i nostri dati sulla temperatura dal Web site, mi resi conto che sarebbe stato molto difficile per me comunicare su questo argomento. Allora decisi di dedicarmi proprio a questo argomento scrivendo tutto quello che era successo nelle settimane precedenti e poi decisi di mandarlo a qualcuno al Time Warner. Ma siccome non risposero, lo mandai ad Andy Revkin, cronista scientifico del New York Times , che scrisse un articolo che ebbe una certa risonanza.
D: Cambiò il loro atteggiamento verso la sua possibilità di parlare ai media?
Si. Fortunatamente l’amministratore della NASA (Michael Griffin) si sentì coinvolto e fece una dichiarazione molto chiara dicendo che gli scienziati della NASA dovevano essere liberi di dire quello in cui credevano e che se avessero detto qualcosa che avesse a che fare con la politica, avrebbero dovuto precisare che quella era la loro opinione personale e non della NASA. Fu molto determinato nella sua affermazione e da quel momento mi sono considerato autorizzato a dire quello in cui credevo.
D: Conosce qualche scienziato di un altro paese che si stato censurato?
Si, certo. Ho parlato con altri scienziati tra cui quelli del NOAA- National Oceanographic & Atmospheric Administration che mi hanno raccontato di aver avuto sempre un ascoltatore insieme a loro al telefono mentre parlavano con i media. Mi sembrava ancora peggio della NASA. L’ho ricordato in un discorso che feci e so anche che gli scienziati dell’EPA (Environmental Protection Agency) non sono liberi di dire quello che pensano se questo differisce dalla politica dell’amministrazione; e non possono raccontarlo ai media.
D: Secondo lei, questo comportamento era la norma?
Sfortunatamente è qualcosa che negli ultimi decenni si è anche rafforzato. Non è una novità per questa amministrazione. Sembra che l’idea dell’amministrazione sia quella che tutti gli impiegati governativi stiano lavorando per l’amministrazione invece che per il pubblico americano e che dovrebbero perciò sostenere le posizioni dell’amministrazione. Io non sono d’accordo, penso che il mio stipendio è pagato da chi paga le tasse e che debbo essere responsabile di quello che dico ma non dovrei distorcere quello che dico per adattarlo alla politica.
D: Lei ha detto che altre amministrazioni si sono comportate così. Questa amministrazione è stata peggiore delle prime due?
Si l’ho già detto tante volte; in circa 30 anni di governo non ho mai visto restrizioni della possibilità degli scienziati di comunicare con il pubblico così forti come adesso.
D: Lei pensa che il riscaldamento globale o il cambiamento climatico, come lo vuole chiamare, sia diventato un tema politico?
Certamente. Il riscaldamento globale è diventato un tema politico apocalittico perchè richiederà cambiamenti fondamentali nei nostri sistemi energetici e nel nostro modo di vivere. Avrà un impatto sull’industria e perciò l’industria ha deciso che preferisce mantenere le cose come sono.
E’ un caso sfortunato perchè rispetto al problema dell’ozono l’industria ha deciso. “Bene, dovremmo trovare nuove sostanze chimiche che non distruggano l’ozono e potremo comunque continuare a fare soldi.” Lo stesso vale per le industrie dei carburanti fossili ma alcune di loro preferiscono resistere e continuare a venderci i carburanti fossili che sono la fonte del problema...
Io credo che non sia una storia triste e disastrosa: quale sarà l’impatto netto dei cambiamenti nel nostro sistema energetico e nel diventare più efficienti? Tanto per cominciare, possiamo ridurre l’inquinamento dell’aria. Poi la riduzione della dipendenza dalle fonti energetiche straniere porterà un enorme beneficio. Voglio dire che proprio adesso stiamo mandando ingenti somme di denaro in differenti parti del mondo e parte di quel denaro può essere usato per cose che possono essere molto pericolose per noi. Perciò se possiamo sviluppare fonti energetiche nazionali e possiamo sviluppare una tecnologia energicamente efficiente o usare le energie rinnovabili, possiamo venderle globalmente. E questo produrrà posti di lavoro, lavori altamente remunerati e sarà buono per la nostra economia nel lungo termine.
Dobbiamo veramente alzarci e affrontare la realtà. Se siamo gli ultimi ad ammettere che dobbiamo cambiare, allora ci saranno altri paesi che avranno le tecnologie e noi diventeremo più poveri. Ma se ci proviamo, sarà realmente molto positivo perchè potremo avere un’atmosfera più pulita e un’economia più forte.
D: Quando fece il discorso sul ‘punto di svolta’c’era un rapporto scientifico che lo ha spinto a farlo?
Si. Credo che fosse diventato molto più chiaro rispetto agli anni precedenti che stavamo avvicinandoci a un ‘tipping point’... E inoltre era diventato chiaro che eravamo molto vicini ai livelli più caldi raggiunti nell’ultimo milione di anni... Oggi possiamo vedere che la temperatura sta salendo di 2 decimi di grado Celsius ogni dieci anni; quindi, fra 50 anni la temperatura sarà più alta di quanto non lo sia stata in un milione di anni- se continueremo sulla stessa strada.
D: E quindi, lei ha sentito che era suo dovere parlare- come scienziato e come uomo ?
Si, perchè quello che stava diventando chiaro agli scienziati non era riconosciuto dal pubblico generale e io credo che la teoria scientifica fosse diventata veramente molto chiara. E non voglio trovarmi nella condizione in cui fra qualche decennio i miei nipoti possano dire: “Opa aveva capito cosa sarebbe accaduto ma non cercò mai di renderlo chiaro.” Perciò penso che sia un obbligo degli scienziati cercare di informare il pubblico su quello che sanno.
D: Anche se c’erano politici che dicevano:”Jim Hansen è un allarmista”?
Bè, devo dire che ho lanciato un allarme ma penso che fosse un allarme legittimo. Credo che abbiamo delle buone ragioni per dire quello che diciamo.
D: C’è il consenso nel mondo scientifico rispetto all’idea che siamo vicini a un ‘tipping point’, che abbiamo un tempo limitato per cambiare?
Non direi che c’è il consenso, perchè non ci sono tanti scienziati che abbiano una visione ampia dello stato del clima rispetto a quello che è stato nel corso della storia della terra. Ma credo che il piccolo numero di scienziati coinvolti nella ricerca sia diventato molto sensibile negli ultimi cinque anni e questo è molto diverso da com’era 10 anni fa. Sono certo che alcuni dei migliori scienziati siano oggi molto preoccupati e che tutti noi non siamo stati capaci di comunicare la nostra preoccupazione al pubblico nel modo in cui l’avremmo dovuto fare.
D: Quando voi guardate le immagini alla televisione- i ghiacci che si staccano e si riversano nel mare, gli orsi polari arenati- le vedete in modo diverso da come le vede il pubblico?
Probabilmente si, perchè non si possono usare le immagini delle lastre di ghiaccio che si staccano come prova di qualche cosa, poiché è stato sempre vero che i ghiacciai perdono il ghiaccio ai bordi e crescono al centro. Ma quello che abbiamo adesso sono i nuovi dati che sono notevoli, per esempio, quelli del satellite gravitazionale che è stato su per tre o quattro anni e che ci consente di misurare la massa dello strato di ghiaccio della Groenlandia e dell’Antartico occidentale.
Quello che abbiamo scoperto è che è vero che gli strati di ghiaccio crescono al centro ma che si stanno sciogliendo i bordi molto più di quanto cresca il centro, e quindi non c’è equilibrio. E questa situazione sta ancora cambiando. Anche nell’arco degli ultimi anni ci sono stati cambiamenti notevoli. Gli esperti sono molto preoccupati che ci si stia avvicinando a un ‘tipping point’ per quanto riguarda la stabilità degli strati del ghiaccio. Perchè ci si dovrebbe preoccupare quando il ghiaccio cresce nella parte centrale ma si perde agli angoli?
Perchè ci sono dei feedback multipli. Una volta che comincia lo scioglimento di uno strato di ghiaccio e supera un certo limite, diventa impossibile fermarlo.... Per esempio, adesso stiamo misurando i terremoti sulla Groenlandia. Ci sono sismografi localizzati in tutto il mondo che ci consentono di individuare dove e quando accade un terremoto. Bene, il numero dei terremoti nella Groenlandia tra il 1993 e il 1999 è raddoppiato e da allora ad oggi è raddoppiato ancora.
E i terremoti in Groenlandia sono movimenti di ghiacciai. Una parte dello strato di ghiaccio si sposta in avanti, verso l’oceano e poi si polverizza arrestandosi sul terreno solido al di sotto dello strato di ghiaccio. Questi spostamenti stanno crescendo perchè aumenta lo scioglimento. Quando c’è acqua sulla superficie del ghiaccio, questa attraversa un crepaccio fino alla base dello strato di ghiaccio di cui lubrifica la base rafforzando questi movimenti. Quindi ci sono molti segnali che le cose stanno cominciando ad accadere. Gli esperti si stanno cominciando a preoccupare ed era ora.
D: Lei ha fatto qualcosa di diverso dai molti altri scienziati. Lei non si è fermato alla scienza. Lei ha attraversato il confine in molti modi parlando di politica, parlando di quello che dovremmo fare, lanciando degli avvertimenti. Questo non è un ruolo tradizionale per uno scienziato, e per questo alcune persone hanno detto che lei è un allarmista, perchè lei ha assunto molteplici ruoli.
Già! Qualcuno deve aiutare la gente a capire quali sono le implicazioni. Per esempio, la NASA ha fatto una conferenza stampa sulle sue osservazioni dei cambiamenti nei ghiacciai dell’Artico. Hanno fatto una prova generale prima della conferenza e l’hanno usata per avvertire gli scienziati di non parlare di politica.
Così, durante la prova generale, qualcuno domandò “C’è qualcosa che potremmo fare per evitare lo scioglimento dei ghiacciai?” E uno dei molti scienziati disse “ Potremmo ridurre le emissioni dei gas serra”. Qualcuno saltò su e disse” Questo è inaccettabile. Gli scienziati non sono autorizzati ad affermare questo”. E questa, secondo me è una sciocchezza. Se non possiamo dire alla gente che cosa serve fare per evitare quello che sta accadendo, chi glielo dirà? Nessuno....
D: Le viene in mente un altro problema legato alla scienza per cui si potrebbe accettare che gli scienziati attraversino il confine per suggerire una politica?
Io non sto suggerendo una politica. In qualche caso lo faccio. Io faccio delle dichiarazioni.
D: Le fa, le fa, eccome!
Ma rappresentano la mia opinione...Non credo che la mia opinione sulla politica abbia più peso di quella di chiunque altro ma non mi si dovrebbe impedire di esprimerla e di connettere i punti....
D: La domanda è questa: gli scienziati dovrebbero dare suggerimenti alla politica?
Non credo, ma penso che dovremmo rendere chiare le implicazioni politiche della nostra scienza. E credo che sia giusto indicare l’impatto di politiche alternative sull’argomento particolare, in questo caso sul clima.
Ci sono dei fatti fondamentali che non sono capiti dalla gente e francamente nemmeno dai politici. Per esempio: più di un quarto dell’ossido di carbonio che emettiamo nell’atmosfera resterà lì... per più di 500 anni e ciò significa che non possiamo bruciare tutti i combustibili fossili senza produrre un pianeta differente... Se uno scienziato non sa questo non credo che la gente lo saprà mai.
D: Adesso siamo nel 2007 e non c’è alcun cambiamento di politica. Siamo lontani 7 anni dal ‘punto di svolta’?
Oh si, credo proprio che sia così. Non più di 8 anni, perchè al ritmo con cui aumentano le emissioni di CO2- che sia stato il 2% all’anno- nel 2015 avremo il 35% di emissioni in più rispetto all’anno 2000. E ciò renderà molto difficile e probabilmente impraticabile abbassare il livello delle emissioni che ci serve per mantenere l’aumento della temperatura globale al di sotto dei 2 gradi Fahrenheit. Credo che avremmo superato il limite oltre il quale ci saranno cambiamenti climatici sostanziali che saranno inevitabili.
D: E’ arrivato il momento di prepararci a un pianeta differente da quello a cui siamo abituati?
Dovremmo fare delle cose logiche per adattarci al cambiamento climatico, ma non credo che sia una soluzione pratica. Credo ancora che dobbiamo cominciare adesso, cominciare molto presto a prendere iniziative significative per evitare il grande cambiamento climatico. Credo che dovremmo avere una moratoria sull’uso degli impianti a carbone negli Stati Uniti fino a che non avremo la capacità di catturare la C02 e di sequestrarla.
Potremmo tranquillamente vivere con tale moratoria semplicemente enfatizzando l’efficienza energetica, specialmente degli edifici. Abbiamo la tecnologia oggi per costruire edifici che producano il 50% in meno di CO2 e di gas serra rispetto a quello che producono attualmente, ma dobbiamo avere degli standard. Dobbiamo avere regolamenti che li impongano. Gli ingegneri, gli architetti, adesso sono ansiosi di farlo, ma fino a che non c’è una leadership politica questo non potrà accadere.
D: Il Texas è alle prese proprio con questo problema e nei prossimi due anni deciderà, in un modo o nell’altro se mettere in funzione gli impianti a carbone. Se lei fosse in Texas che cosa direbbe?
Questo è il tema più critico al momento- anche più importante dell’efficienza delle automobili, perchè la vita di un impianto energetico è di molti decenni, 50 o75 anni. Noi non vogliamo costruire questa vecchia tecnologia. Il carbone potrà essere usato nel futuro, ma con le nuove tecnologie con cui la CO2 si cattura e si sequestra. Perciò adesso bisogna fermarla. E’ una cosa che il Congresso dovrebbe affrontare molto presto perchè credo che sia uno dei passi più importanti da fare per cominciare a camminare su una strada sostenibile.
D: E anche se non lo fa il Texas, la Cina mette in funzione un impianto a carbone alla settimana e nei prossimi dieci anni avranno speso più di un trilione di dollari in impianti a carbone. C’è molto poco da fare per fermarli.
No, invece, c’è una enorme quantità di cose che possiamo fare per fermarli ed è cominciando ad affrontare noi stessi il problema, perchè se non lo facciamo noi, loro non lo affronteranno mai. E inoltre, per il nostro benessere economico, sarebbe una gran cosa se avessimo la tecnologia per farlo e potessimo venderla al resto del mondo, perchè la Cina –una volta che le conseguenze sono chiare-- entro un decennio o poco più, cambierà rotta. I cinesi dovranno soffrire più di noi per i cambiamenti climatici; hanno centinaia di milioni di persone che vivono vicino al livello del mare, per esempio. Hanno tutte le ragioni per essere preoccupati e, soprattutto, man mano che diventano più forti economicamente, cresce la loro capacità di farlo.
Sarebbe meglio per noi avere le tecnologie da vendergli per riprenderci un po’ dei soldi che gli stiamo dando adesso.
testo originale
Biografia
http://en.wikipedia.org/wiki/James_Hansen
Links:
Intervista di Bill McKibben a James Hansen, in PuntoSostenibile n.8, ottobre 2010
"La scelta sbagliata del Massachussets", 2 gennaio 2008
Lettera al Primo Ministro del Giappone
Yasuo Fukuda, 3 luglio 2008
http://www.columbia.edu/~jeh1/
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