ecological literacy



 

Richard Heinberg
I limiti della Terra: perchè la crescita non restituisce cibo

estratto da ’The End of Growth’, New Society Publishers, settembre 2011
da: ecoliteracy.org
traduzione di Franca Bossalino

Oltre all’acqua, la gente ha bisogno del cibo per la propria esistenza. Perciò anche il cibo è essenziale per la crescita economica.
I problemi del mantenimento dei sistemi di produzione alimentare estesa e intensiva hanno avuto un ruolo nel collasso delle precedenti civiltà, compreso l’Impero Romano. La Mesopotamia -il centro verde e lussureggiantedelle civiltà sumere e babilonese- si  trasformò in un grande deserto in conseguenza all’erosione del suolo. La civiltà Maya, secondo le recenti ricerche archeologiche non è sopravvissuta al declino della produzione alimentare.
Le società industriali hanno aggirato quelli che altrimenti sarebbero stati fattori limitanti della produzione alimentare, usando l’irrigazione, nuove varietà di colture, fertilizzanti, diserbanti, pesticidi e la meccanizzazione, insieme all’espansione delle reti di trasporto che consentivano di condividere globalmente l’abbondanza locale.
In termini di produttività, l’agricoltura del XX secolo ha costituito una storia di successi senza precedenti: la produzione di cereali è aumentata del 500% (circa 400 milioni di tonnellate nel 1900 raggiungendo quasi i 2 miliardi nel 2000). Questi successi sono dipesi, in grande misura, dall’aumento crescente dell’uso di combustibili fossili abbondanti e a basso costo.
All’inizio del XX secolo, la maggior parte della gente coltivava e l’agricoltura era basata sull’energia muscolare (animale e umana). Oggi nella maggior parte dei paesi, i coltivatori costituiscono una porzione della popolazione più piccola rispetto al passato e l’agricoltura è, almeno parzialmente, meccanizzata. Gli agricoltori industriali tipicamente coltivano porzioni di terra molto più grandi. E vendono i loro raccolti ai distributori che a loro volta vendono prodotti alimentari impacchettati a un grossista che a sua volta li vende a una catena di supermercati o ristoranti.
Il consumatore ultimo del cibo è pertanto separato dal produttore. Il sistema alimentare, nella maggior parte delle nazioni, è dominato da poche aziende multinazionali gigantesche che vendono i semi, o che producono sostanze chimiche per l’agricoltura, da costruttori di macchinari agricoli, da rivenditori all’ingrosso, da distributori e da catene di supermercati e fast-food.
Molto è cambiato nell’agricoltura. Un secolo fa, gli agricoltori conservavano i semi da un anno all’altro, mentre i fertilizzantidel terreno provenivano dalla stessa fattoria in forma di concime animale. I fattori compravano semplicemente gliattrezzi fondamentali e i lubrificanti. Gli agricoltori oggi devono contare su una gamma di prodotti impacchettati (semi, fertilizzanti, pesticidi, diserbanti e antibiotici); hanno bisogno di macchine, pezzi di ricambio e combustibili. Il costo annuale di tutto ciò può essere scoraggiantee taleda costringere gli agricoltori a chiedere prestiti.
Il percorso che ha portato alla attuale abbondanza di cibo è stato disseminato di costi accidentali pagati, soprattutto, dall’ambiente. L’agricoltura è diventata la più grande fonte di impatto umano sul pianeta: è risultato della salinizzazione dei suoli, della deforestazione, della perdita degli habitat e della bio-diversità, della scarsità di acqua dolce, dell’inquinamento delle acque e dei suoli dovuto all’uso di pesticidi. L’uso dei fertilizzanti nel mondo è aumentato del 500% dal 1960 al 2000, e ciò ha contribuito a una esplosione di “zone morte” nei mari e negli oceani, che ha sconvolto il processo dei cicli biologici esistito per miliardi di anni. L’agricoltura americana, negli anni recenti, grazie ad alcuni miglioramenti ambientali è diventata più efficiente dal punto di vista energetico di quanto non fosse un paio di decenni fa. L’uso dei fertilizzanti è diminuito e si sta più attenti alla conservazione dei suoli. Ma, in generale e specialmente nello scenario globale, all’aumento della produzione è seguito l’aumento degli impatti ambientali. Adesso un’ulteriore espansione della produzione alimentare appare problematica. La produzione di cereali pro-capite ha raggiunto il picco nel 1984 (342 kg/anno). Per molti anni non ha risposto alla domanda, che è stata soddisfatta con lo spostamento delle scorte.
Le sfide da affrontare per aumentare la produzione sono dovute, simultaneamente, a vari fattori: la scarsità dell’acqua, l’erosione dello strato superficiale dei suoli dovuta all’agricoltura industriale – oltre 25 miliardi di tonnellate all’anno contro i 7 miliardi scavati nelle miniere-, alla diminuzione della fertilità, ai limiti della terra arabile, alla diminuzione della diversità dei semi, all’aumento della richiesta di nuovi pesticidi e di dosaggi superiori poiché quelli comuni si stanno rivelando inefficaci; le pesti, infatti, stanno sviluppando una forte resistenza ai comuni pesticidi e diserbanti. Inoltre e non meno importante,  il costo crescente dei combustibili fossili.
Poiché l’energia richiesta per far funzionare il sistema alimentare diventa sempre più costosa, i prodotti organici vengono usati sempre di più per produrre energia. Molti governi oggi offrono sussidi ed altri incentivi per trasformare la biomassa -compresi i raccolti –in combustibile. La conseguenza è che i prezzi degli alimenti inevitabilmente aumentano. Anche quello del grano, poiché gli agricoltori sostituiscono i campi di grano con coltivazioni di mais, di semi di rapa o di soia.
Anche l’esaurimento dei minerali sta ponendo dei limiti per l’approvvigionamento di cibo per gli uomini. Il fosforo è spesso un fattore limitante negli ecosistemi naturali; cioè, la disponibilità di fosforo limita la dimensione della popolazione che abita in certi ambienti. Il fosforo è uno dei 3 principali nutrienti richiesti per la crescita delle piante- gli altri due sono l’azoto e il potassio. La maggior parte del fosforo necessario in agricoltura si ottiene dalla roccia di fosfato: i coltivatori organici usano il fosfato grezzo, mentre gli agricoltori industriali usano delle forme chimicamente trattate, come il superfosfato, il triplo superfosfato o i fosfati di ammonio. Fortunatamente il fosforo può essere riciclato, come nei sistemi di coltivazione tradizionali in Cina, dove gli scarti umani ed animali vengono restituiti alla terra. Ma oggi enormi quantità di quelli che avrebbero potuto essere preziosi nutrienti dei suoli, vengono scaricati nei corsi d’acqua e infine si depositano alla foce dei fiumi.
Nel 2007, il fisico canadese e consulente per l’agricoltura Patrick Déry studiò le statistiche sulla produzione del fosforo in tutto il mondo, adottando l’analisi di Hubbert (una tecnica usata per le previsioni sulla diminuzione del petrolio) e concluse che il picco della produzione di fosfato era già stato superato, sia negli USA (1988) che nel mondo intero (1989). Déry osservò i dati non soltanto relativi al fosfato commerciale ma anche alle riserve  del fosfato di roccia a più bassa concentrazione; scoprì –nessuna sorpresa- che sfruttare quest’ultime sarebbe stato più costoso –sia dal punto di vista energetico che da quello ambientale. Le conclusioni di Déry sono state confermate in un recente Rapporto della Britain’s Soil Association.
Ci sono tre soluzioni principali al problema del picco del fosfato: il compostaggio dei rifiuti umani, compresa la separazione delle urine dalle feci; più efficienza nell’uso dei fertilizzanti; un modo di coltivare tale da rendere il fosforo -esistente nel suolo- più accessibile per le piante.
Le sfide per l’approvvigionamento alimentare si estendono dalle fattorie agli oceani. Pesci come merluzzo, sardina, eglefino e platessasono stati per decenni i preferiti in Europa e nel Nord America, ma molte di queste specie adesso sono in pericolo. La pesca ha raggiunto il picco nel 1994. Un gruppo di ecologi e di economisti nel 2006 fece una previsione: nel 2048 nel mondo non ci saranno più pesci se la frequenza di estinzione delle specie marine non diminuisce. L’estinzione della popolazione marina continua, invece, ad accelerare. Il capogruppo degli autori del Rapporto, Boris Worm, viene citato per aver detto: <Adesso davvero vediamo la fine. E’ entro il tempo della nostra vita. I nostri figli vedranno un mondo senza pesci, se non cambiamo le cose.> Secondo uno studio più recente molti tipi di pesce hanno grande difficoltà a sopravvivere anche se diminuisce la pesca. Dopo 15 anni di sforzi per la loro conservazione, il loro numero è aumentato modestamente. La riproduzione del merluzzo, ad esempio, è stata  pressoché nulla.
Ecco il quadro generale: la domanda di cibo sta lentamente superando le risorse. La capacità dei produttori a rispondere ai bisogni è sempre più ostacolata dalla crescita della popolazione umana, dall’esaurimento dell’acqua, dall’aumento delle industrie di carburanti biologici, dall’espansione dei mercati all’interno delle nazioni in via di sviluppo, dalle diete basate sul pesce e sulla carne, dal calo della pesca naturale e dalla instabilità del clima. Il risultato sarà inevitabilmente una crisi mondiale del cibo, a cui l’umanità assisterà forse nei due o tre decenni prossimi.
Le sfide alla crescente produzione globale di cibo o almeno al mantenimento degli attuali valori, sono legate non solo ai tanti problemi già discussi (cambiamento climatico, esaurimento delle fonti di energia rinnovabili, scarsità dell’acqua ed esaurimento dei minerali) ma anche con i problemi discussi nel capitolo 2 del libro: l’agricoltura moderna richiede un sistema basato su credito e debito. A meno che  gli agricoltori non ottengano il credito, non possono permettersi di affrontare i costi sempre più alti della coltivazione. Produttori e venditori all’ingrosso debbono accedere al credito. Una crisi del credito prolungata potrebbe essere devastante per l’approvvigionamento alimentare mondiale, altrettanto drammatica  di  un qualunque altro evento climatico.
La soluzione che spesso viene proposta a queste scoraggiantisfide per il sistema alimentare, è l’ingegneria genetica. Se riusciamo a modificare i geni per realizzare una varietà di raccolti più produttiva, alimenti più nutrienti, piante che possono crescere nell’acqua salata, pesci che crescono più rapidamente o cereali che possono fissare l’azoto dell’atmosfera come fanno i legumi, allora possiamo ridurre il bisogno di acqua dolce per l’irrigazione, dei fertilizzanti e della pesca eccessiva e, allo stesso tempo, coltivare di più e nutrire meglio le popolazioni. Sembra troppo bello per essere vero e probabilmente lo è. In realtà, i geni delle piante attualmente autorizzaticonferiscono semplicemente resistenza agli insetti infestanti o ai diserbanti; per la promessa di raccolti più ricchi di nutrienti e di cereali che fissano l’azoto ci vorranno ancora molti anni. Nel frattempo, l’industria  continua a dipendere dalle tecnologie a uso intensivo di energia
(pesticidi e diserbanti), come pure dai sistemi di produzione e di distribuzione centralizzata e ai sistemi finanziari basati sul credito e il  debito.
Fino a questo momento, le modifiche genetiche nelle piante commestibili ha avuto successo soprattutto nel generare enormi profitti per una industria di semi sempre più centralizzata e un maggiore debito per gli agricoltori. Quanto al pesce geneticamente modificato, gli ecologi avvertono che mentre questo è destinato ad essere allevato in aree chiuse, se solo pochi riescono accidentalmente a uscire, potrebbero molto velocemente capovolgere i fragili e già compromessi ecosistemi.
Vale la pena di ricordare che nei passati decenni la voce di una minoranza di coltivatori, di scienziati dell’agricoltura e di  teorici del sistema alimentare, compresi Wendell Berry, Wes Jackson, Vandana Shiva, Robert Rodale e Michael Pollan, hanno preso posizione contro la centralizzazione, l’industrializzazione e la globalizzazione dell’agricoltura, a favore di un’agricoltura con consumi minimi di combustibili fossili. Dove le loro idee si sono radicate, l’adattamento al picco del petrolio e alla fine della crescita sarà più facile. Sfortunatamente le loro raccomandazioni non vengono ascoltate poiché l’agricoltura industrializzata e globalizzata ha dato prova della sua capacità di produrre maggiori profitti, nel breve termine, per le banche e per il business agro-alimentare.
E ancor più sfortunatamente, il tempo a disposizione per una transizione su larga scala e ‘proattiva’ del sistema alimentare prima degli impatti del picco del petrolio e della contrazione economica, è già passato. Il tempo è scaduto.

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