Intervista
a Ed Mazria
di Geoff Manaugh BLDG
BLOG
traduzione di Franca Bossalino
Lo scorso anno Ed Mazria e la sua organizzazione
no-profit Architecture 2030 fondata nel New Mexico, ha rivelato
che l’architettura- o il settore edilizio più in generale-
è la fonte di emissioni di gas serra più grande al
mondo.
Per aiutare a prevenire il cambiamento climatico “catastrofico”,
dunque, il settore edilizio deve diventare carbon neutral. Il raggiungimento
di questa condizione prima dell’anno 2030 è, come l’ha
chiamata Mazria, la Sfida del 2030. Nel tentativo di velocizzare
le cose, Marzia ospiterà con altri un evento nel Febbraio
2007, dal titolo L’imperativo del 2010. Sarà la trasmissione
in diretta dalla città di New York, di “un dibattito
sull’emergenza globale”.
L’Imperativo del 2010- che verrà discusso nel dettaglio
più avanti- è stato organizzato in modo specifico
attorno all’idea che “l’alfabetizzazione ecologica
debba diventare un principio centrale dell’educazione al progetto”,
e che “una importante trasformazione della comunità
accademica responsabile della progettazione deve cominciare oggi”.
Ho parlato recentemente con Mazria dei cambiamenti climatici, del
progetto sostenibile e della carbon neutralità, dello stato
attuale e della futura direzione che dovrà prendere l’educazione
dell’architetto, degli sviluppi suburbani, di Wal-Mart e dei
SUVs e della stessa Sfida del 2030.
Quello che segue
è una trascrizione della nostra conversazione.
D: Come ha scelto l’obiettivo specifico della
Sfida del 2030?
ED MAZRIA: Ecco, vediamo. Abbiamo identificato
la Sfida del 2030 lavorando a ritroso dalle riduzioni nelle emissioni
dei gas serra che gli scienziati ci dicevano avremmo dovuto raggiungere
nel 2050.
A partire da quelle riduzioni e guardando, in particolare, il settore
edilizio- responsabile di circa la metà di tutte le emissioni-
si può capire che cosa dobbiamo fare oggi. Si possono vedere
gli obiettivi che è necessario raggiungere per evitare di
imbatterci in quello che gli scienziati hanno definito un cambiamento
climatico catastrofico.
In tal modo, si vede che dobbiamo immediatamente ridurre del 50%
i combustibili fossili, l’energia che emette i gas serra,
nella costruzione di tutti i nuovi edifici. E poiché rinnoviamo
quasi quanto costruiamo ex novo, dobbiamo ottenere la stessa riduzione
del 50% anche nelle ristrutturazioni. Se poi, aumentiamo questa
riduzione del 10% ogni 5 anni- in modo tale che al 2030 i nuovi
edifici non useranno più energia prodotta da combustibili
fossili che emettono gas serra- allora raggiungeremo una condizione
che è chiamata carbon neutral. E ci arriveremo nel 2030.
Così avremmo raggiunto gli obiettivi che gli scienziati hanno
stabilito che dobbiamo raggiungere.
Ecco come abbiamo deciso la Sfida del 2030- il che vuol dire una
riduzione del 50% oggi per arrivare al carbon neutral nel 2030.
D: Quando lei dice che il settore edilizio è
responsabile della metà di tutte le emissioni di gas serra,
intende in senso diretto o indiretto?
ED MAZRIA: In senso diretto. Attualmente si può
attribuire al settore edilizio il 48% di tutto il consumo energetico
degli USA, la maggior parte del quale- il 40% del consumo totale-
può essere attribuito proprio alle operazioni edilizie. Cioè
riscaldamento, illuminazione, raffreddamento e riscaldamento dell’acqua.
D: E l’altro 8%?
ED MAZRIA: L’altro 8% è l’emissione
di gas serra rilasciati dalla produzione dei materiali da costruzione-
materiali che possono specificare gli stessi architetti- come pure
durante lo stesso processo costruttivo. Ma la maggior parte, come
vede- il 40%- è progetto. Ogni volta che progettiamo un edificio,
stabiliamo il suo modello di consumo energetico di emissioni di
gas serra per i successivi 50-100 anni. Ecco perchè il settore
edilizio e architettonico è così critico.
Ci vuole molto tempo perchè avvengano i cambiamenti- mentre
il settore dei trasporti, su gomma, in questo paese, cambia ogni
12 anni.
D: A proposito di questo lei ha messo in evidenza
in qualche altra occasione che i SUV (Sport Utility Vehicle) rappresentano
circa il 3% delle emissioni totali di gas serra negli USA- che hanno
ricevuto l’attenzione e la rabbia dei media. Il vero colpevole
è l’architettura progettata senza badare agli sprechi.
ED MAZRIA: La gente deve ricordare, però,
che questo non mette l’industria di automobili degli USA-
fuori pericolo! Automobili e SUV sono ancora parte del problema
e la dobbiamo attaccare. E le soluzioni ci sono. Una delle soluzioni,
ad esempio, è usare la tecnologia ibrida, il plug-in e il
flex- fuel.
Plug-in significa che si può accumulare energia sul tetto
della macchina, con le cellule fotovoltaiche e poi mettere in carica
la batteria della macchina la notte e guidare per 30-50 miglia.
Poi si può usare la tecnologia ibrida per fare una quantità
incredibile di miglia. Poi si può usare il flex-fuel: si
può mettere nel serbatoio etanolo piuttosto che combustibili
fossili. In quel settore le soluzioni ci sono.
D: Sembra che la Sfida del 2030 abbia incontrato
l’entusiasmo sia dell’ American Institute of Architects
che della Conferenza dei Sindaci degli Stati Uniti. E’ così
o sperava in una reazione migliore?
ED MAZRIA: La reazione è stata immediate
e molto gratificante. Non appena abbiamo pubblicato la sfida, nel
gennaio 2006, L’AIA l’ha adottata per tutti i suoi 78.000
membri. Con ciò facendo due cose. La prima: cominciando a
far girare le ruote all’interno del settore dell’architettura
e della costruzione per immaginare in quale modo affrontare la Sfida.
La seconda, cominciando a raccogliere le risorse e le informazioni
per gli architetti e i progettisti su come cambiare strada.
Altrettanto importante, la Conferenza dei Sindaci degli Stati Uniti
ha poi adottato la Sfida del 2030.
In una risoluzione votata nel loro congresso annuale. E’stata
votata all’unanimità. La Sfida è stata adottata
per tutti gli edifici in tutte le città. Questo è
molto importante.
D: Per quanto lontano possa andare la realizzazione
della Sfida, è così semplice come far arrivare un
nuovo libretto agli imprenditori che spieghi loro in che modo possono
cambiare le tecniche di costruzione? O è tanto complesso
quanto cambiare le lauree dell’intera università?
ED MAZRIA: Innanzi tutto bisogna informare.
La gente deve essere veramente consapevole di questo argomento.
Le Università non capiscono davvero quale sia il loro ruolo
in tutta questa situazione. Perciò il primo passo è
informare- e siamo andati già molto avanti a questo riguardo.
Abbiamo scritto moltissimi articoli sulle riviste e altre pubblicazioni;
abbiamo fatto discorsi pubblici; e c’è anche il nostro
website- perciò stiamo avendo un impatto.
Quello che stiamo facendo davvero è cambiare la conversazione.
Cambiando -o allargando -la conversazione siamo riusciti a pubblicare
la Sfida del 2030.
Se non fossimo riusciti a cambiare la conversazione non avremmo
potuto pubblicarla. Invece l’abbiamo pubblicata ed è
stata raccolta dal mondo della professione poi dalle città
ed è stato assolutamente fondamentale.
Adesso la sta raccogliendo il mondo degli affari. Per esempio, nello
stesso momento in cui pubblicavamo la Sfida, il World Business Council
for Sustainable Development uscì con un appello per gli edifici
carbon neutral nel 2050. Perciò noi chiedemmo all’AIA
di aprire un dialogo con loro perché ciò avvenisse
invece nel 2030.
Inoltre, fin da allora, feci un discorso a una conferenza organizzata
dall’International Council for Local Environmental Initiatives.
I membri dell’ICLEI sono 475 città del mondo. E’
una specie di controparte globale della conferenza dei sindaci USA-
sebbene molte città degli USA sono anche suoi membri. Alla
fine della conferenza, adottarono la Sfida 2030. Adesso stanno lavorando
con il Global Board of Directors per discutere l’adozione
della Sfida in tutto il mondo.
Ad essere sinceri, la parola adozione non è la parola giusta-
hanno incorporato la Sfida nei loro obiettivi.
D: Pensa che la rapidità con cui la Sfida
è stata adottata rifletta una specie di imbarazzo per il
fallimento del Protocollo di Kyoto?
ED MAZRIA: E’ possibile. E’ anche più
accettato adesso che la scienza è risoluta; la gente sta
accettando il fatto che il dibattito è essenzialmente chiuso
e che adesso dobbiamo passare dal dibattito all’azione. Ma
gli scienziati ci hanno dato una opportunità. Abbiamo essenzialmente
10 anni per arrivare ad avere il controllo della situazione. Altrimenti
arriveremo al punto finale oltre il quale ci sarà molto poco
da fare per influenzare le cose. Perciò c’è
un nuovo senso dell’urgenza.
Quello che è mancato fino ad ora sono le specifiche su come
attaccare il problema. Molte iniziative sono generali, senza una
vera forza dietro che sostenga la riduzione delle emissioni di gas
serra di una certa quantità per una certa data. Ma credo
che le persone che hanno adottato queste iniziative adesso stiano
cercando dei modi per realizzarle, per colpire i propri obiettivi.
La Sfida 2030 ci indica un modo molto specifico di farlo- e credo
che questa sia la ragione principale del perché ha fatto
presa così rapidamente.
D: Nel frattempo lei ha visto aziende come la Wal-Mart
cercare di reinventare se stesse come aziende pro-verde, pro-sostenibilità,
perché hanno capito che lì c’è una occasione
di profitto. Ha senso per l’ambiente, ma ha anche senso per
gli azionisti. Il cambiamento non è necessariamente altruistico.
ED MAZRIA: Credo che stia seguendo la corrente
per un certo numero di ragioni. Una ragione è quello che
abbiamo appena detto: l’urgenza dell’argomento. Ci sono
molte persone là fuori con una coscienza e che pensano al
futuro piuttosto che ai loro bisogni immediati. Pensano ai loro
figli e ai loro nipoti. Ma credo che lei abbia ragione: credo che
un’altra parte sia essenzialmente al servizio di se stessi,
che essere verdi possa dare una mano nella competizione. Possa far
risparmiare soldi. Possa rafforzare la propria immagine nella comunità,
il che significa che i propri affari possono essere manovrati con
più facilità e meno vincoli. Il punto è: qualunque
sia la motivazione, sta andando nella direzione giusta.
D: Allora, quale ruolo hanno le scuole di architettura
e di design in tutto ciò?
ED MAZRIA: L’anno scorso venne fuori un resoconto
dell’AIA COTE intitolato Ecologia e Progetto. Era uno studio
di oltre un anno fatto da un gruppo di suoi membri. Ogni scuola
dovrebbe leggerlo.
A pag. 43: “Scuole e docenti stanno scoprendo e creando nuovi
modi di incorporare la sostenibilità nei laboratori e negli
altri corsi. Sembra esserci più di quanto non ci fosse 5
o 10 anni fa e gli sforzi sono più grandi più stratificati
e più complessi.” Ma quello che più conta è
la parte seguente: “Il nostro campione non include un solo
esempio in cui i temi abbiano informato una vera trasformazione
della sostanza del curriculum. Per quanto promettenti siano molti
dei corsi, si deve dire che il progetto sostenibile resta un’attività
marginale nelle scuole.”
Ancora peggio:
“Secondo la nostra ricerca, molte delle scuole più
accreditate mostrano poco interesse nel progetto sostenibile. Le
scuole della Ivy League, non hanno fatto in realtà uno sforzo
rilevante per incorporare le strategie ambientali nei loro corsi.
Con poche eccezioni – precisamente la California Polytechnic
State University- San Luis Obispo, la nostra prima classificata
- lo stesso può dirsi di tutti i programmi elencati nella
graduatoria del Design Intelligence del 2005 relativa alla classifica
delle migliori scuole.” E’ implicito che l’ecologia
non è considerata un’agenda del progetto ma, piuttosto,
una faccenda etica o tecnica. Se i programmi migliori, gli insegnanti
migliori gli studenti migliori non abbracciano l’ecologia
come un’ispirazione per un buon progetto, che possibilità
ha questo sforzo di trasformare l’industria?
Voglio ritornare adesso alla Cal Poly-San Luis Obispo, la loro “prima
classificata”. Questa è la Cal Poly: “L’errore
più significativo dei corsi sull’Ambiente Sostenibile
è il fatto che sono degli opzionali minori e non parte integrante
della sostanza del curriculum. Sebbene le iscrizioni al corso crescano
ogni anno, attualmente solo il 20% degli studenti del CAED ne fa
parte”.
Adesso senta questa: Il preside Jones, che è nuovo in questa
scuola, vede il corso sull’Ambiente Sostenibile –opzionale-
come un corso pilota per l’intero Dipartimento: “E’
un obiettivo a lungo termine quello di integrare questo tipo di
approccio nel curriculum.” Lungo termine.
Hanno sostanzialmente 10 anni per cambiare i corsi nell’intero
settore della costruzione e il programma del progetto ecologico
che è primario ha uno sviluppo sostenibile minore .Questa
è la scuola eccellente. E per loro è un obiettivo
a lungo termine. Questo è il quadro.
La scuola deve trasformarsi- e la debbono trasformare immediatamente.
Perciò abbiamo organizzato quello che definiamo Imperativo
del 2010. Questo spiegherà a tutte le scuole che cosa crediamo
che debba essere fatto oggi, immediatamente - e per completare il
processo, che cosa deve essere fatto per il 2010.
Per il 2010 vogliamo una totale alfabetizzazione ecologica nell’educazione
dell’architetto.
D: L’Imperativo del 2010 è un seminario
sull’emergenza globale di tre settimane. Può dirmi
qualcosa di più?
ED MAZRIA: Il seminario avrà luogo il 20
Febbraio dalle 12 alle 15.30. Sarà una trasmissione in diretta
dalla Accademia delle Scienze di New York. Ci saranno quattro relatori:
Dr. James Hansen della NASA parlerà della scienza , delle
implicazioni del riscaldamento globale e dell’urgenza dell’azione.
Io parlerò del settore edilizio e di che cosa dobbiamo fare-
e perché- e in che modo l’educazione è il punto
critico di tutta la questione. Susan Szenasy farà l’introduzione
e parlerà delle discipline del progetto. Farà anche
da moderatrice del dibattito. E Chris Luebkeman farà un discorso
intitolato “Fare è Credere”- che è molto
interessante- e parlerà dei progetti di Arup in tutto il
mondo. Poi ci saranno domande e risposte –e una discussione
generale- con le persone che interverranno in diretta da ogni parte
del mondo. Quindi c’è la partecipazione. Avremo anche
un pubblico in diretta di circa 300 persone e forse più che
parleranno dalle nove scuole di design dell’area new yorchese.
D: Si sono iscritte a partecipare anche università
ed istituzioni oltre quelle di New York?
ED MAZRIA: Il seminario è stato sponsorizzato
dalla ACSA, dal Comitato per l’Ambiente dell’AIA e dal
US Green Building Council e da molte altre scuole. Abbiamo ricevuto
fino ad ora circa 15.000 e-mail da persone che comunicano di volersi
iscrivere. Ci sono scuole che sospenderanno le lezioni quel giorno
e che creeranno una giornata piena di eventi attorno al seminario.
Stiamo avendo risposte da ogni parte. Berkeley, Harvard, Cal-Poly-San
Louis Obispo, UW-Milwakee. Ne arrivano da 50 a 100 in un giorno,
comprese quelle di professionisti e studi di architettura che faranno
partecipare tutti i loro membri.
Vede, si possono fare conferenze a 1000, 500 o 300 persone- ma in
questo modo stiamo parlando di decine di migliaia di persone, in
un giorno solo. E’ un bel modo di usare la tecnologia per
passare la parola.
D: Alcuni dei cambiamenti richiederanno un cambiamento
concettuale di gran lunga più importante, credo. State passando
da un approccio artistico o storico all’architettura- secondo
cui l’architettura è una specie di mezzo espressivo-
a un approccio che tratta l’ambiente costruito come qualcosa
che ha effetti misurabili scientificamente. Ecologicamente parlando,
un progetto può essere letteralmente buono o cattivo, non
importa quale sia il suo aspetto o se piace o no al cliente. Pensa
che questo sia un argomento possibile ?
ED MAZRIA: Io penso che si possano incorporare
sia l’espressione personale che l’estetica nell’alfabetizzazione
ecologica. L’alfabetizzazione ecologica dà soltanto
un altro strumento con cui progettare. L’Architettura non
soltanto è pura scultura; non è soltanto pura funzione;
non è soltanto pura rappresentazione- è tutte queste
cose. E quindi quello che deve essere aggiunto e integrato al curriculum
progettuale è la nozione di alfabetizzazione ecologica. Non
si può più progettare senza essere alfabetizzato in
questa area- altrimenti si fa più male che bene.
D: Oltre al seminario, come fate a fare arrivare
presto questo messaggio nelle scuole e negli studi di progettazione?
ED MAZRIA: Non si deve fare a una scuola alla volta.
Le scuole sono troppe. Ci sono centinaia di migliaia di studenti
che studiano oggi e non sono alfabetizzati completamente nell’ecologia.
Non hanno una visione totale della situazione globale che stiamo
affrontando e di quello che deve succedere dopo. E non sono solo
gli studenti-nemmeno i loro insegnanti ne sono completamente consapevoli.
Perciò noi proponiamo di farlo in due modi. Uno è
un modo immediate, e uno è a breve termine. Quello immediato
è ben definito: ci rivolgeremo ad ogni scuola di progettazione
del mondo, globalmente, e chiederemo ad ogni insegnante di aggiungere
una frase ad ogni problema che viene affrontato nei loro laboratori
progettuali. Ecco cosa chiederemo. Non chiederemo di cambiare i
corsi- chiederemo di aggiungere una frase.
La frase è la seguente: “Il progetto deve impegnarsi
rispetto all’ambiente in modo da ridurre drammaticamente o
addirittura eliminare il bisogno di combustibili fossili.”
Questo provocherà una reazione a catena, globalmente, in
tutta la popolazione studentesca. Perché quello che gli studenti
faranno all’inizio di ogni nuova esercitazione è una
ricerca sull’argomento. Poi torneranno in aula con tutte le
informazioni che avranno potuto trovare- a proposito, sono disponibili
in Internet. Possono aver accesso a queste informazioni molto, molto
rapidamente. Poi, porteranno tutti gli altri, compresi i docenti,
a procedere velocemente sui vari temi, sulle strategie del progetto,
e sulle tecnologie che sono disponibili e su parte del programma
progettuale. A cominciare da questo, le università e gli
studi professionali diventeranno strumenti per trasformare il progetto.
Se si porta avanti il tema della soluzione creativa dei problemi,
verranno fuori moltissimi modi di affrontare il problema- come non
avremmo mai immaginato. E questa è la bellezza del fare questo
cambiamento subito. Successivamente possiamo lavorare a un approccio
sistematico, tra il 2007 e il 2010, per portare la vera alfabetizzazione
ecologica in tutte le scuole di architettura.
D: Contemporaneamente lei pensa di affrontare i
grandi costruttori di abitazioni come i Toll Brothers o KB Home,
per indurli ai cambiamenti ambientali su larga scala e subito?
ED MAZRIA: Deve ricordare che noi siamo una piccolissima
organizzazione! (ride) Credo però che attorno a questi temi
e alla Sfida del 2030 stia prendendo forma un movimento crescente,
perciò immagino che ci siano molte altre persone nelle industrie
che potranno abbracciare questi cambiamenti. Per esempio c’è
un’organizzazione che si chiama ConSol che si indirizza all’industria
del mercato di massa delle abitazioni nei termini di cui abbiamo
parlato. C’è l’ Urban Land Institute. C’è
il Congress for the New Urbanism. Tutti affrontano l’influenza
di tali temi sullo sviluppo.
D: Che ne pensa di progettare un prototipo di sviluppo,
o un modello di insediamento, che possa servire ad esemplificare
la Sfida del 2030?
ED MAZRIA: Insegnare progettando? Credo che stia
accadendo. Sul nostro website, abbiamo un’intera sezione sui
progetti che cominciano a corrispondere agli obiettivi, e abbiamo
già edifici che rientrano in quella categoria, che abbiamo
progettato negli anni. Infatti, nel 1980, abbiamo progettato la
Biblioteca di Mt.Airy che riduce il consumo di combustibili fossili
dell’80% rispetto a un edificio medio dello stesso tipo. Solo
attraverso il progetto.
Infatti negli anni ’80, subito dopo la prima crisi energetica,
il Dipartimento dell’Energia americano ha comunque sponsorizzato
da 12 a 18 architetti in tutto il paese per progettare edifici a
bassissimo consumo energetico.
Direi che ciascuno di quegli architetti ha dimostrato che si possono
avere riduzioni del 50-80% proprio attraverso il progetto! C’erano
moltissimi edifici costruiti alla fine degli anni ’70 e durante
gli anni ’80 che avevano adottato il progetto del solare passivo
e i principi dell’illuminazione diurna. Perciò c’è
già una grande quantità di informazioni prodotta in
quegli anni.
Solo quando il petrolio scese a 10 $ al barile e arrivò l’Amministrazione
Reagan e fondamentalmente annientò tutte queste iniziative,
cominciammo a contare sul combustibile fossile. Adesso i nostri
edifici sono sigillati, non hanno alcuna relazione integrata con
l’ambiente. Quando oggi parliamo in architettura di una connessione
con l’ambiente, per i 30 o 50 anni passati abbiamo parlato
solo di una connessione visiva. Non abbiamo parlato di una connessione
reale, integrata e basata sull’energia che si scambiano l’edificio
e il suo ambiente. Ed ecco da dove viene il termine sistemi aperti
e dove dobbiamo andare.
D: Se proponeste dei progetti concreti per una
città carbon neutral per il futuro, però, questa non
darebbe alla gente un senso più chiaro di come tutto ciò
potrebbe apparire?
ED MAZRIA: Credo che questa sia davvero una buona
domanda- perchè avere qualche immagine di quello di cui stiamo
parlando è molto importante. Ma il fatto che una sola persona
possa arrivare a un progetto o a un’immagine potrebbe fare
più male che bene: credo che ci sia bisogno di un’intera
gamma di soluzioni estetiche e di idee che prendono forma. Solo
le idee e le soluzioni che funzionano potrebbero scuotere gli animi.
Credo che legarle soltanto a una immagine visiva non servirebbe.
D: Lei ha anche parlato dell’importanza di
un nuovo software per il progetto - software che può modellare,
in tempo reale, l’uso dell’energia progettato. Questo
aiuterebbe gli architetti a rispettare gli obiettivi delle emissioni.
C’è stato qualche progresso su questo fronte?
ED MAZRIA: Ogni qualvolta prendiamo una decisione
- ri-orientiamo l’edificio, lo giriamo, aggiungiamo vetri,
usiamo un certo tipo di materiale, aggiungiamo dispositivi ombreggianti,
riposizioniamo o ri-allineiamo un muro - dobbiamo tenere a portata
di mano le implicazioni energetiche di quello che stiamo facendo.
Sarebbe semplice, si tratta di due numeri: uno indica se stiamo
raggiungendo l’obiettivo del 50% delle riduzioni, o del 60%
oppure del 70% - quanto ci siamo vicini. L’altro indica l’energia
di fatto incorporata nei materiali e nella costruzione dell’edificio.
Se avessimo quei due numeri mentre progettiamo i nostri edifici,
allora, intuitivamente, capiremmo qual è il risultato delle
nostre azioni.
Questi strumenti sono un elemento critico del progetto, ed è
necessario che i maggiori produttori di software - Autodesk e Google-
si assumano l’impegno di fornirli tenendo conto dell’emergenza.
In Gran Bretagna infatti, il Green Building Studio sta già
lavorando con molta cura in quest’area. Gli studenti possono
inviare i loro progetti e ricevere un’analisi, credo in quindici
minuti- gratis. Ma le compagnie che ci forniscono questi strumenti
hanno veramente bisogno di aggiornarsi. Il Governo federale può
aiutare, o gli stati più grandi che hanno risorse finanziarie,
mettendo qualche dollaro nella ricerca e nello sviluppo in modo
da poter avere questi strumenti immediatamente.
D:Potrebbe lanciare una specie di Software Challenge
per far smuovere le cose?
ED MAZRIA: Potrei. Credo di si. Poiché l’AIA
ha adottato la Sfida del 2030, adesso vedrete che il governo federale
e gli stati maggiori- e le città e le compagnie- non resteranno
indietro. L’adozione della Sfida 2030 è stata fondamentale
nel creare più movimento in quest’area. Penso che man
mano che un numero sempre maggiore di città adotta la Sfida
e queste vogliono capire come possono attuarla, richiederanno certi
tipi di software e le compagnie che li producono diventeranno competitive.
Proprio adesso stiamo avviando il processo di creazione di un enorme
mercato per questi strumenti.
D: Prima lei ha menzionato i sindaci. Quale è
stata la sua esperienza con altri leader politici ai vari livelli
dell’amministrazione?
ED MAZRIA: E’ stata veramente buona- i sindaci
sono molto interessati e motivati. Sono stato a Washington proprio
ieri a parlare ai Senatori e ai membri del Congresso a proposito
del supporto federale. Questo vorrebbe dire che gli edifici federali
aprirebbero la strada - perché il governo federale costruisce
molti edifici - probabilmente il 3% del totale- e noi stiamo chiedendo
che tutti gli edifici costruiti con i fondi federali raggiungano
gli obiettivi della Sfida.
Stiamo anche chiedendo incentivi che aiutino a raggiungere gli obiettivi,
affinché chiunque si svegli e si affretti. In qualche caso
sono coinvolti i costi, perciò, se si offrono degli incentivi
si può accelerare l’adozione della Sfida 2030- quindi,
prima si ottengono gli incentivi , tanto più rapidamente
si andrà avanti. Adesso c’è un interesse crescente
al Campidoglio a proposito delle cose che abbiamo detto.
D: E’ a causa delle elezioni dello scorso
novembre?
ED MAZRIA: Si. Non ci resta molto tempo. Dobbiamo
lavorare davvero il più possibile proprio adesso. Abbiamo
bisogno che tutti- veramente tutti - spingano nella stessa direzione,
senza scoraggiarsi. Voi potete far accadere le cose. Ognuno ha un
ruolo nel far accadere le cose. Non lo sosterrò mai con la
dovuta enfasi: abbiamo bisogno di ciascuno. E’ la gente che
risponderà che le farà accadere- ecco chi stiamo cercando
di raggiungere.
Si può fare. Abbiamo capito abbastanza, sappiamo che cosa
dobbiamo fare. Dobbiamo solo farlo adesso. Sappiamo esattamente
dove dobbiamo essere; sappiamo cosa sono le riduzioni; sappiamo
come ottenerle; sappiamo a chi chiedere gli incentivi- dobbiamo
solo far accadere le cose.
Il tempo dei piccoli cambiamenti incrementali è passato:
questa non è un’azione dall’alto verso il basso;
sarebbe troppo lenta. Questo cambiamento deve venire dalle università,
dalle industrie e dall’intero spettro politico.
testo
originale in inglese
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