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The NEXT Industrial
Revolution (estratto)
di William Mc Donough
e Michael Braungart
traduzione di Franca Bossalino
(continua)
Che cos’è l’eco-efficienza?
Innanzitutto il termine significa “fare
di più con meno”- un precetto che ha le sue
radici nella prima era industriale. Henry Ford è stato categorico
nei riguardi delle politiche operative del risparmio e del non inquinamento;
ha salvato il denaro della sua compagnia col riciclo e il riuso
dei materiali, riducendo l’uso delle risorse naturali, minimizzando
il packaging e stabilendo nuovi standard con la sua linea di assemblaggio
che riduceva i tempi. Nel 1926 Ford scrisse:
“Bisogna ottenere il massimo dall’energia, dal materiale
e dal tempo” – un manifesto che oggi potrebbe
essere appeso al muro di qualunque fabbrica eco-efficiente.
Il legame dell’efficienza con la sostenibilità dell’ambiente
è stata articolata nel famoso rapporto “Il
nostro futuro comune”, pubblicato nel 1987 dalla Commissione
Mondiale ONU sull’Ambiente e lo Sviluppo.
Il Rapporto avvertiva che se il controllo dell’inquinamento
non fosse stato intensificato la proprietà e gli ecosistemi
sarebbero stati minacciati e l’esistenza sarebbe diventata
sgradevole e perfino dannosa per la salute umana in molte città.
La Commissione stabilì nella sua Agenda per il cambiamento
che “andrebbero incoraggiate le industrie
e le attività industriali che producono meno rifiuti, che
sono più efficienti in termini di uso delle risorse, che
generano meno inquinamento, che sono basate sull’uso delle
risorse rinnovabili piuttosto che su quelle non rinnovabili e che
minimizzano gli impatti irreversibili e ostili sulla salute umana
e dell’ambiente”. Il termine “eco-efficiente”
fu promosso cinque anni dopo dal Business
Council for Sustainable Development, un gruppo di 48 industriali
inclusi Dow, Du Pont, Con Agra e Chevron, che portarono una prospettiva
economica al Summit della Terra.
Il consiglio presentò la sua richiesta di cambiamento in
termini pratici, focalizzata su quello che l’economia avrebbe
guadagnato da una nuova consapevolezza ecologica piuttosto che su
quello che l’ambiente avrebbe perso se l’industria avesse
continuato seguendo i modelli attuali. Nel rapporto Changing Course,
consegnato poco prima del Summit, il fondatore del gruppo Stephan
Schmidheiny sottolineò l’importanza dell’eco-efficienza
per tutte le compagnie che aspiravano ad essere competitive, sostenibili
e vincenti nel lungo termine.
Nel 1996 Schmidheiny disse “Prevedo
che entro una decade sarà diventato quasi impossibile per
un’azienda essere competitiva senza essere anche ‘eco-efficiente’-
aggiungendo più valore a un buon servizio usando sempre meno
risorse e inquinando sempre meno”.
Come Schmidheiny aveva predetto, l’eco-efficienza si è
fatta strada nell’industria con straordinario successo. Le
aziende che si impegnano a rispettarla aumentano sempre più
e includono nomi come Monsanto, 3M, Johnson&Johnson. Le sue
famose tre R- ridurre, riusare, riciclare-
stanno diventando popolari sia in casa che al lavoro. La tendenza
deriva in parte dai benefici economici dell’eco-efficienza
che possono essere notevoli: 3M, per esempio, ha risparmiato più
di 750 milioni di dollari attraverso progetti di prevenzione dell’inquinamento,
e altre compagnie affermano che stanno realizzando grossi risparmi.
Naturalmente, la riduzione del consumo delle risorse, dell’uso
di energia, delle emissioni e dei rifiuti, ha implicazioni anche
per l’ambiente. Quando sentiamo dire che Du Pont ha tagliato
le sue emissioni di sostanze chimiche cancerogene di circa il 75%,
non possiamo non sentirci più sicuri. Ecco
un altro beneficio dell’eco-efficienza: diminuisce la colpa
e la paura. Sottoscrivendo l’eco-efficienza, i consumatori
e le industrie possono essere meno 'cattivi’ e temere meno
per il futuro. Non è forse vero?
L’eco-efficienza è un
concetto apparentemente ammirevole e certamente pieno di buone intenzioni,
ma, sfortunatamente, non è una strategia di successo nel
lungo termine, perchè non va abbastanza a fondo. In primo
luogo, funziona all’interno dello
stesso sistema che ha causato il problema, rallentando il
processo con prescrizioni morali e richieste punitive. E’
poco più che un’illusione di cambiamento. Affidarsi
all’eco-efficienza per salvare l’ambiente otterrà
l’effetto contrario- lascerà che l’industria
esaurisca ogni risorsa tranquillamente, continuamente e completamente.
Noi guardiamo avanti verso una rimodellazione dell’industria
umana- a quello che noi e l’autore Paul Hawken, chiamiamo
la Prossima Rivoluzione Industriale.
I leaders di questo movimento comprendono molte persone nei diversi
campi, nel commercio, la politica, le scienze sociali, le scienza
della natura, l’ingegneria e l’educazione. Tra queste
l’imprenditore Ray Anderson, la filantropa Teresa Heinz, Dave
Crockett consigliere della città di Chattanooga, il fisico
Amory Lovins, lo studioso di temi ambientali prof. David Orr, gli
ambientalisti Sarah Severn, Dianne Dillon Ridgley e Susan Lyons,
Heidi Holt, progettista di prodotti ambientali, il progettista ecologico
John Todd e la scrittrice Nancy Jack Todd.
Ci siamo concentrati su un nuovo modo di
progettare la produzione industriale. Da architetto e da
chimico quali siamo, abbiamo lavorato con i sistemi sia commerciali
che ecologici, e vediamo il conflitto tra industria e ambiente come
problema progettuale- un grandissimo problema progettuale.
Molte delle intenzioni fondamentali della Rivoluzione
Industriale erano buone intenzioni che la maggior parte di noi vorrebbe
vedere realizzate oggi, fra le altre: più beni e servizi,
standard di vita più elevati e più scelte e opportunità
per tutti. Ma c’erano delle omissioni cruciali. Preservare
la diversità e la vitalità delle foreste dei fiumi
e degli oceani, l’aria il suolo e gli animali non facevano
parte della sua agenda.
Il progetto della Rivoluzione Industriale:
• ha immesso milioni di tonnellate di materiali tossici nell’aria,
nell’acqua e nel suolo ogni anno;
• ha misurato la prosperità sulla base della produzione;
• ha richiesto migliaia di regolamenti complessi per evitare
che la gente e i sistemi naturali venissero avvelenati troppo velocemente;
• ha prodotto materiali tanto pericolosi da richiedere una
vigilanza costante da parte delle generazioni future;
• ha prodotto gigantesche quantità di rifiuti;
• ha nascosto materiali preziosi in buchi sparsi su tutto
il pianeta da dove non potranno mai più essere recuperati;
• ha eroso la diversità delle specie biologiche e delle
tradizioni culturali.
L’eco-efficienza
invece:
• rilascia, ogni anno, una minore quantità di materiale
tossico nell’aria, nell’acqua e nella terra;
• misura la prosperità in base alla minore produzione;
• risponde a- o supera- le migliaia di regolamenti complessi
per evitare che la gente e i sistemi naturali vengano avvelenati
troppo velocemente;
• produce meno materiali pericolosi che richiederanno una
vigilanza costante da parte delle generazioni future;
• produce meno rifiuti;
• nasconde una quantità minore di materiali preziosi
in buchi sparsi su tutto il pianeta da dove non potranno mai più
essere recuperati;
• standardizza e omogeneizza le specie biologiche e le tradizioni
culturali.
Più semplicemente, l’eco-efficienza
aspira a rendere il vecchio sistema un po’ meno distruttivo.
Ma i suoi obiettivi, per quanto ammirevoli, sono fatalmente limitati.
Riduzione riuso e riciclo rallentano il passo della contaminazione
e dell’impoverimento ma non fermano questi processi. Molto
del riciclo, ad esempio, è quello che noi chiamiamo ‘down-cycling’
cioè che riduce la qualità originaria di un materiale
nel corso del tempo.
Quando la plastica diversa da quella che si trova in prodotti come
le bottiglie di soda e di acqua viene riciclata, spesso viene mischiata
con plastiche differenti per produrre un ibrido di qualità
inferiore, che poi viene modellata in qualcosa di amorfo e a basso
costo, come le panchine del parco o i dossi per rallentare la velocità.
Il materiale originario di alta qualità non viene recuperato
e probabilmente finisce nelle discariche o negli inceneritori.
L’uso corretto e creativo dei materiali riciclati per nuovi
prodotti può essere fuorviato. Per esempio, la gente pensa
di fare una scelta ecologicamente corretta comprando e indossando
indumenti fatti con le fibre di plastica delle bottiglie riciclate.
Ma le fibre derivate dalle bottiglie di plastica non sono state
progettate per stare a contatto con la pelle umana. Adottare ciecamente
approcci ambientali superficiali senza conoscere i loro effetti
può non essere meglio che non fare niente.
Per la comunità, il riciclo è più costoso di
quanto deve essere, in parte perchè il riciclo tradizionale
cerca di forzare i materiali a vivere più vite di quelle
per cui è stato progettato, una conversione complicata e
disordinata che spende energie e risorse. Pochissimi oggetti di
consumo moderni sono stati progettati con il riciclo in mente.
Se il processo deve veramente far risparmiare denaro e materiali,
i prodotti debbono essere progettati fin dall’inizio per essere
riciclati o perfino ‘up cycled’
–un termine che usiamo per descrivere il ritorno ai sistemi
industriali di materiali con una qualità superiore e non
inferiore.
La riduzione di emissioni potenzialmente dannose e di rifiuti è
un altro obiettivo dell’eco-efficienza. Ma gli studi attuali
stanno cominciando ad aumentare la preoccupazione che perfino piccolissime
quantità di emissioni pericolose possano avere -nel tempo-
effetti disastrosi sui sistemi biologici. Questa è in particolare
una preoccupazione nel caso dei distruttori endocrini- sostanze
chimiche industriali presenti in una varietà di plastiche
moderne- e di beni di consumo che sembrano imitare gli ormoni e
che si connettono con i ricettori negli esseri umani e altri organismi.
Theo Colborn, Dianne Dumanoski e John Peterson Myers- autori di
uno studio su alcune sostanze chimiche sintetiche e l’ambiente,
dal titolo “Il nostro futuro rubato”
(1996)- affermano che “soprendentemente,
piccole quantità di questi composti attivi ormonali possono
causare ogni tipo di devastazione biologica, in modo particolare
in quelli esposti nell’utero".
Su un altro fronte, la nuova ricerca sulle polveri sottili- microscopiche
particelle rilasciate durante i processi di incinerazione e combustione
- dimostra che queste possono insediarsi nei polmoni e danneggiarli,
specialmente nei bambini e nei vecchi. Uno studio fatto a Harvard
nel 1995 ha scoperto che 100.000 persone muoiono ogni anno come
conseguenza di queste particelle minuscole. Sebbene esistano già
i regolamenti al riguardo, non entreranno in vigore fino al 2005.
Il vero cambiamento non sarà costituito dal regolamentare
il rilascio delle polveri ma dal cercare di eliminare completamente
le emissioni pericolose - per mezzo del progetto.
Le antiche culture nomadi tendevano a lasciarsi
dietro i rifiuti organici, restituendo
i nutrienti alla terra e all’ambiente circostante.
Le società moderne insediate vogliono liberarsi dei rifiuti
più rapidamente possibile. I nutrienti
potenziali presenti nei rifiuti organici, finiti nelle discariche,
sono persi, non possono essere usati per ricostruire il suolo; depositare
materiali sintetici e sostanze chimiche nei sistemi naturali disturba
l’ambiente. La capacità degli ecosistemi naturali-complessi
e interdipendenti di assorbire questi materiali estranei è
limitata, se non addirittura inesistente. La natura non ci può
fare niente con quella roba progettata: molti manufatti non sono
pensati per degradarsi in condizioni naturali.
Se gli uomini debbono prosperare all’interno del mondo naturale,
tutti i prodotti e i materiali fabbricati dall’industria debbono-
alla fine della loro vita utile- fornire nutrimento per qualcosa
di nuovo.
I prodotti composti di materiali non biodegradabili dovrebbero essere
progettati come nutrienti tecnici che
circolano continuamente all’interno di cicli
chiusi industriali- il metabolismo tecnico[…]
[…]I nutrienti tecnici saranno progettati per ritornare nel
ciclo tecnico. Oggi chiunque può gettare un vecchio televisore
in un cassonetto dell’immondizia. Ma un televisore comune
è costituito di centinaia di sostanze chimiche, alcune delle
quali sono tossiche. Altre sono nutrienti preziosi per l’industria,
che vengo sprecati quando il televisore finisce nella discarica.
Il riuso dei nutrienti tecnici in cicli industriali chiusi
è diverso dal riciclo tradizionale, perchè consente
al materiale di conservare la sua qualità: la plastica
di alta qualità usata per i computer continuerebbe a circolare
come plastica di alta qualità per computer invece di essere
‘sotto-riciclata’ per fare le barriere antirumore o
i vasi per le piante.[…]
Alcuni anni fa siamo riusciti a concepire e realizzare
un tessuto da tappezzeria ‘compostable’ (convertibile
in un fertilizzante)- un nutriente biologico.
Ci fu richiesto di creare un tessuto unico, dal punto di vista estetico,
che fosse anche ecologicamente intelligente- sebbene il cliente
allora non sapesse ancora che cosa significasse. La sfida ci aiutò
a chiarire, sia per noi che per l’azienda, la differenza tra
le risposte superficiali come il riciclo e la riduzione e i cambiamenti
più significativi richiesti dalla Prossima
Rivoluzione Industriale.[…]
Decidemmo di progettare un tessuto tanto sicuro che si poteva mangiare.
La fabbrica scelta per la produzione del tessuto era abbastanza
“pulita” dal punto di vista ambientale, eppure aveva
ancora un problema interessante: nonostante il direttore della fabbrica
fosse stato diligente rispetto alle riduzioni delle emissioni pericolose,
i controllori governativi avevano recentemente definito i ritagli
uno scarto pericoloso. Cercammo una destinazione per i ritagli:
lo strato protettivo per i fiori in terra nel giardino del club.
Una volta rimosso dalla struttura della sedia, al termine della
sua vita utile, e gettato sul terreno a mischiarsi col sole, l’acqua
e i micro-organismi affamati, sia il tessuto che i suoi ritagli
si sarebbero decomposti naturalmente.
Con l’aiuto della Compagnia il gruppo dei progettisti
ha preso in considerazione più di 8000 componenti chimici
usati nell’industria tessile e ne ha eliminati 7962.
Il tessuto- in realtà un’intera linea di tessuti- è
stata creata usando solamente 38 componenti chimici.
Il direttore della fabbrica ci ha raccontato una storia sorprendente
accaduta durante la produzione dei tessuti. Quando i controllori
vennero a verificare le acquel reflue, pensarono che i loro strumenti
fossero rotti. Dopo aver testato anche il flusso in entrata, si
resero conto che i loro strumenti funzionavano bene- l’acqua
che usciva dalla fabbrica era pulita come quella che entrava. Il
processo di fabbricazione stesso aveva filtrato l’acqua.
Il nuovo progetto aveva non solo by-passato le risposte ai problemi
ambientali delle tre R tradizionali (rifiuti –riciclo- riuso)
ma aveva anche eliminato la necessità dei regolamenti. […]
Un nutriente tecnico.
Chi ha rivestito il pavimento con una moquette tradizionale, deve
pagare per farla rimuovere. L’energia, il lavoro e i materiali
impiegati, per il produttore sono persi: la moquette diventa niente
più che un mucchio potenziale di petrolchimici pericolosi
che debbono essere portati a discarica. Contemporaneamente materiali
grezzi debbono essere continuamente estratti per produrre nuova
moquette.
La moquette tipica consiste di nylon incluso nel fiberglass e nel
PVC. Dopo l’uso un produttore può solo ‘sotto-riciclarla’
-separare il nylon per riutilizzarlo e squagliare il resto.
La maggiore industria di moquette commerciale, Interface, sta adottando
il nostro concetto di nutriente tecnico in una moquette progettata
per un riciclaggio completo. Quando un cliente vuole sostituirla,
il produttore si riprende un nutriente tecnico- una o tutte le parti
del tappeto a seconda del prodotto- e il cliente riceve, a sua volta,
una moquette nel colore, nello stile e nella grana desiderati. La
fabbrica di moquette continua ad essere proprietaria del materiale,
ma lo dà in affitto e lo mantiene, dando al cliente il servizio
della moquette. In seguito, la moquette, come ogni altra, si logorerà
e il produttore riuserà il materiale che avrà lo stesso
livello di qualità di quello originale, se non anche più
alto.
I vantaggi di un tale sistema, applicato a molti prodotti industriali,
sono di due tipi: non si generano rifiuti inutili e potenzialmente
dannosi, come potrebbe accadere ancora nei sistemi eco-efficienti,
e materiali preziosi per un valore di miliardi di dollari vengono
salvati e conservati dal produttore.
Vendere intelligenza, non veleno.
Attualmente, le industrie chimiche avvertono gli agricoltori perché
stiano attenti ai pesticidi, eppure le industrie traggono profitto
dalle vendite di pesticidi. In altre parole, le industrie sono coinvolte,
non intenzionalmente, nello spreco e perfino nell’uso distorto
dei loro prodotti che può contaminare il suolo, l’acqua
e l’aria. Immaginate cosa accadrebbe se un’industria
chimica vendesse intelligenza invece che pesticidi- cioè
se gli agricoltori pagassero le fabbriche di pesticidi per proteggere
il raccolto dalle perdite dovute ai pesticidi, invece di comprare,
a loro discrezione, sostanze chimiche pericolose ‘approvate
dalle norme’. Sarebbe in effetti, come comprare l’assicurazione
sul raccolto.
Gli agricoltori non hanno interesse a maneggiare sostanze chimiche
pericolose; vogliono far crescere il raccolto. Le industrie chimiche
non vogliono contaminare suolo, acqua e aria; vogliono fare soldi[…]
Pensate alla responsabilità di un progetto
superficiale di una comune scarpa. Ad ogni vostro passo la suola
della scarpa rilascia piccolissime particelle di sostanze potenzialmente
dannose che possono contaminare e ridurre la vitalità del
terreno. Con la prossima pioggia queste particelle verranno portate
dall’acqua nelle piante e nel terreno, aggiungendo un altro
carico all’ambiente.
Le scarpe dovrebbero essere ri-progettate in modo tale che la suola
sia un nutriente biologico. Quando dovesse consumarsi sotto la pressione
un piede pesante e interagisse con la natura, nutrirebbe il metabolismo
biologico invece di avvelenarlo. Le altre parti della scarpa potrebbero
essere progettate come nutrienti tecnici da essere restituiti ai
cicli industriali. La maggior parte delle scarpe- in realtà
la maggior parte dei prodotti dell’attuale sistema industriale-
sono piuttosto primitive nella loro relazione con il mondo naturale.
Attualmente, con gli strumenti della scienza e della tecnica a disposizione,
ciò non accadrebbe.
Rispettare la Diversità e usare il Sole
L’obiettivo principale del secolo XX è stato quello
di trovare soluzioni applicabili universalmente.
Nel campo dell’architettura, lo Stile Internazionale è
un buon esempio. Come risultato della sua adozione generalizzata,
l’architettura è diventata uniforme. Cioè, l’apparenza
di un edificio per uffici può essere la stessa dovunque e
l’edificio può funzionare allo stesso modo dovunque.
Materiali come l’acciaio, il cemento, il vetro possono essere
trasformati in tutti i luoghi del pianeta, eliminando la dipendenza
dalle energie e dai flussi di materiali particolari della regione.
Con più energia forzata nei sistemi di riscaldamento e raffreddamento,
lo stesso edifico può funzionare in modo simili in contesti
completamente differenti.[…]
• Il primo principio della
Prossima Rivoluzione Industriale è quello dei due
metabolismi, biologico e tecnico.
• Il secondo principio è: “rispettare
la diversità”. I progetti rispetteranno l’unicità
regionale, culturale e materiale di un luogo. Rifiuti ed emissioni
rigenereranno invece di esaurire, gli edifici saranno convertibili
invece di finire come macerie in una discarica edilizia quando il
mercato cambia.
• Il terzo principio è “usare
l’energia del Sole”. I sistemi umani adesso dipendono
dai combustibili fossili, dai prodotti petrolchimici e dai processi
di incinerazione che spesso hanno effetti collaterali disastrosi.
Oggi, anche l’edificio più avanzato è ancora
una specie piroscafo a vapore, che inquina, contamina, impoverisce
l’ambiente, e solo per piccolissime quantità usa la
luce e l’aria naturali. Le persone lavorano essenzialmente
al buio e spesso respirano aria insalubre.
Immaginate, invece, un edificio come un albero. Purifica l’aria,
accumula l’apporto solare, produce più energia di quanta
ne consuma, crea ombra e habitat, arricchisce il suolo e cambia
con le stagioni.[…]
Equità Economia Ecologia
La Prossima Rivoluzione Industriale incorpora intenzioni positive
per un ampio spettro di interessi umani. All’interno del movimento
per la sostenibilità si sono trovate tre categorie per articolare
questi interessi: equità, economia, ecologia
L’equità si riferisce
alla giustizia sociale. Un progetto, impoverisce o arricchisce gli
individui e le comunità? I fabbricanti di scarpe sono stati
biasimati per esporre i lavoratori a sostanze tossiche in quantità
che superano i limiti di sicurezza. L’eco-efficienza ridurrebbe
le quantità per rispondere a certi standard; l’eco-efficacia,
in primo luogo, non userebbe sostanze chimiche potenzialmente pericolose.
Quale progresso sarebbe per il genere umano se nessun operaio lavorasse
in condizioni pericolose o disumane!
L’economia si riferisce al
mercato. Un prodotto riflette le esigenze economiche di produttori
e consumatori? I progetti sicuri e intelligenti dovrebbero essere
accessibili ed economici per un’ampia gamma di consumatori
e convenienti per le fabbriche che li producono, perché il
commercio è il motore del cambiamento.
L’ecologia si riferisce all’intelligenza
ambientale. Un materiale è un nutriente biologico o un nutriente
tecnico? Risponde ai criteri del progetto naturale: Rifiuto=Cibo/
Rispetto della diversità/Uso dell’energia solare ?[…]
Albert Einstein
scrisse: “Il mondo non si evolverà
dal presente stato di crisi usando lo stesso pensiero che l’ha
generata”.
Molti pensano che la nuova rivoluzione industriale sia già
cominciata, con la nascita della cybertecnologia, la biotecnologia
e la nanotecnologia. E’ vero che questi sono strumenti potenti
per il cambiamento. Ma sono solo strumenti- macchine iper-efficienti
per il transatlantico della Prima Rivoluzione Industriale.
Allo stesso modo, l’eco-efficienza è uno strumento
valido ed apprezzabile e un preludio a ciò che dovrebbe avvenire
dopo. Ma anch’esso, non ci porta oltre la prima rivoluzione.
E’ arrivato il tempo di progetti creativi, ricchi, prosperosi
e intelligenti fin dall’inizio.
Il modello della Prossima Rivoluzione Industriale
l’abbiamo sempre avuto davanti a noi: un albero.
testo
originale
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