|
<Se vogliamo impedire alla megatecnica di controllare
e deformare ancora di più ogni aspetto della cultura
umana, lo potremo fare solo con l'ausilio di un modello radicalmente
differente, derivato direttamente non dalle macchine ma dagli
organismi viventi e dai complessi organici (ecosistemi). Quello
che della vita si può conoscere solo tramite il processo
stesso della vita - e ciò vale persino per i più
umili degli organismi - deve andarsi ad aggiungere ad ogni
altro aspetto dell'esistente che può essere osservato,
misurato, astratto.> da Lewis Mumford,
The Pentagon of Power, 1970 |
La sfida 2030:
cambiare il modo di fare il progetto.
Gli edifici contemporanei- in generale-possono
essere considerati come sistemi isolati.
Ciò significa che hanno bisogno di energia per funzionare
ma non necessariamente debbono interagire col loro ambiente per
continuare a funzionare. Come tutti i sistemi isolati questi edifici
funzioneranno in accordo con la Seconda Legge della Termodinamica.
Importano energia in forma di elettricità, propano e/o gas
naturale, la trasformano per il riscaldamento, il raffreddamento,
per gli impianti di ventilazione e di illuminazione, e poi la dissipano
come calore di scarto. Questi edifici, per funzionare, richiedono
una fornitura ininterrotta di energia importata. Altrimenti, dopo
che tutta l’energia è stata consumata, diventano inabitabili,
troppo caldi, troppo freddi, senza luce, etc. Si isolano contro
l’ambiente per preservare le condizioni interne il più
a lungo possibile.
Gli organismi viventi
invece, funzionano in modo completamente diverso. Sono sistemi
aperti, il che significa che per restare in vita debbono
mantenere un flusso e uno scambio continui di energia e materiali
con il loro ambiente.
Attraverso il processo noto come metabolismo, assorbono sostanza
per ottenere l’energia e i nutrienti necessari per le funzioni
vitali, come il battito del cuore, la contrazione muscolare o la
produzione di molecole organiche.
Allo stesso tempo, i sistemi aperti hanno un grado elevato di stabilità
e di elasticità. Queste sono
dinamiche e consistono nel mantenimento della struttura generale
nonostante i cambiamenti dell’ambiente. Le macchine, per esempio,
non funzionano se le loro parti non lavorano in un modo molto specifico:
se una parte si rompe o la sua sorgente di energia è inadeguata
o viene interrotta, mentre un organismo vivente si auto- conserverà
e resterà in funzione, in un ambiente che cambia, perché
si ripara e si rigenera da solo. Questa capacità
di adattarsi e di auto-conservarsi in un ambiente che cambia
continuamente è una qualità essenziale dei sistemi
aperti. Le fluttuazioni hanno un ruolo chiave
nell’elasticità di questi sistemi.
Gli elementi fanno si che un sistema fluttui entro certi limiti
in modo da mantenere la sua flessibilità in uno stato di
equilibrio in continuo movimento. Il movimento di uno verrà
compensato dagli altri che si muoveranno all’interno del proprio
campo, per mantenere il sistema stabile. E’ così che
sistemi aperti, come insieme, si adattano ai cambiamenti ambientali.
Un organismo vivente crea anche il proprio confine
che lo definisce come un sistema aperto distinto. Questo confine,
o membrana, è un filtro di cui gli elementi dell’ambiente
hanno bisogno per sostenere l’organismo. Il confine racchiude
inoltre una serie specifica di relazioni interne e un ordine che
distingue l’esistenza di un organismo da quella di un altro.
L’ordine è allora una configurazione particolare, o
modello di relazioni, che definisce un sistema aperto specifico
e dà al sistema la sua forma.
Per comprendere e visualizzare la forma si può fare la mappa
dei modelli delle relazioni che costituiscono il sistema. La forma
è quindi sia l’involucro che il contenuto che costituisce
il sistema. E’ la natura visiva di quel sistema.
estratto da E.
Mazria, Marci Riskin, Architectural Design: Nature's Way,
1999
traduzione di Franca Bossalino
Nella primavera del 1912 uno dei più grandi oggetti mai creati
prima dagli esseri umani, salpò da Southampton e cominciò
a navigare verso New York. Era l’epitome dell’età
industriale- una potente rappresentazione della tecnologia, della
prosperità, del lusso e del progresso, pesava 60.000 tonnellate.
Il suo scafo di acciaio era lungo quattro isolati urbani. Ogni motore
a vapore aveva la dimensione di una casa a schiera. Ed era destinato
a un incontro disastroso con il mondo naturale. Questa nave, naturalmente,
era il Titanic- una forza bruta apparentemente indifferente ai dettagli
della natura. Nella mente del capitano e dell’equipaggio e
di molti passeggeri niente poteva affondarla. Si potrebbe dire che
l’infrastruttura create dalla Rivoluzione Industriale del
XIX secolo rassomigli al transatlantico. E’ alimentata dai
combustibili fossili, dai reattori nucleari, e dalle sostanze chimiche.
Scarica i rifiuti nell’acqua e il fumo nell’aria. Funziona
secondo le sue regole, contrarie a quelle del mondo naturale. E
sebbene possa sembrare invincibile, i difetti fondamentali del suo
progetto preannunciano il disastro.
Durante la Rivoluzione Industriale le risorse sembravano inesauribili
e la natura era considerate come qualcosa da domare e civilizzare.
Recentemente, comunque, alcuni industriali hanno cominciato a rendersi
conto che i modi tradizionali di fare le cose possono essere insostenibili
nel lungo termine. “Quello che noi
pensavamo fosse illimitato, ha dei limiti e li stiamo raggiungendo”
disse Robert Shapiro, presidente e amministratore delegato della
Monsanto nel 1997.
Il Summit sulla Terra del 1992 a
Rio de Janeiro presieduto dall’imprenditore canadese Maurice
Strong, ha riconosciuto quei limiti. A Rio si riunirono 30.000 persone
provenienti da ogni parte del mondo, compresi più di 100
governanti e i rappresentanti di 167 paesi, per rispondere ai preoccupanti
sintomi del degrado ambientale.
Sebbene ci sia stata una profonda delusione poiché non fu
raggiunto alcun accordo, molti partecipanti appartenenti al mondo
dell’industria fecero propaganda a una particolare strategia:
l’ eco-efficienza. Le macchine
dell’industria sarebbero state rinnovate con motori più
puliti, più veloci e più silenziosi. La prosperità
non sarebbe stata ostacolata e le strutture economiche e organizzative
sarebbero rimaste intatte.
La speranza era che l’eco-efficienza avrebbe trasformato l’industria
umana da sistema che prende, produce e getta, a sistema che integra
gli interessi economici ambientali ed etici. L’eco-efficienza
è adesso considerata dalle industrie in tutto il globo come
la strategia
della scelta per il cambiamento. continua>>
estratto da W.
McDonough, M. Braungart, The
NEXT Industrial Revolution, 1998
traduzione di Franca Bossalino
Che cosa dell’Ecologia è rilevante
per il progetto?
L’ecologia cominciò come disciplina scientifica nel 1866, quando Ernst Haeckel la definì come “il corpo della conoscenza che riguarda l’economia della natura”. Il pensiero ecologico ebbe origine molto prima.
I contemporanei di Haeckel, da Thoreau e Olmstead a Marsh intrecciarono il pensiero ecologico nelle loro vite e nei loro scritti.
Eppure, mentre l’ecologia faceva passi in avanti nel XX secolo, le tecnologie che cambiarono il mondo allontanarono la società dal pensiero ecologico e la guidarono verso una economia- scienza della casa- differente.
Un pensiero ecologico limitato, nei grandi dibattiti pubblici, ha lasciato decadere i sistemi viventi e questo declino minaccia il benessere dell’umanità.
Gli insediamenti europei del Nord America, guidati dal mito americano dominante della ‘inesauribilità delle risorse’ incorporava la nuova antitesi del pensiero ecologico
Ha alimentato una economia umana affamata con il capitale rubato all’economia naturale. Il fallimento nel comprendere o nel lavorare con l’economia della natura ha prodotto le sfide ambientali che dobbiamo affrontare oggi.
Molte di queste sfide sono importanti per l’attività dei progettisti. Infondere nelle discipline del progetto il pensiero ecologico è cruciale perché i progettisti, in quanto generalisti e integratori per la natura della loro disciplina, operano all’interfaccia delle discipline. Dal progetto dell’edificio, alla gestione della crescita e al progetto del paesaggio, gli aspetti ecologici impongono dei limiti. Ma servono anche come ispirazione. continua>>
estratto da James R. Karr,
What from ecology is relevant to design and planning? Pages
133-172 in B. R. Johnson and K. Hill, editors. Ecology and Design:
Frameworks for Learning. Island Press, Washington, DC. 2002
traduzione di Franca Bossalino
Ecologia intelligente
Gli ecologi ci dicono che i sistemi naturali operano a molteplici scale. A livello macroscopico ci sono cicli bio-geo- chimici globali, come quello del flusso del carbonio, in cui i rapporti tra gli elementi possono essere misurati non negli anni ma nei secoli e nelle ere geologiche. L’ecosistema di una foresta mantiene in equilibrio le interazioni intrecciate di specie vegetali e animali, degli insetti e giù fino ai batteri nel suolo, ciascuna delle quali trova una nicchia ecologica da sfruttare e i geni si evolvono insieme. A livello microscopico i cicli avvengono a una scala di millimetri o micron, e secondi.
Il modo in cui noi percepiamo e comprendiamo tutto ciò fa una differenza fondamentale.
L’intelligenza ecologica ci permette di comprendere i sistemi in tutta la loro complessità, come pure l’interazione tra il mondo naturale e il mondo costruito dall’uomo Ma per capire tutto ciò è necessaria una quantità di conoscenza enorme che nessun cervello umano- da solo- può accumulare. Ciascuno di noi ha bisogno dell’aiuto degli altri per navigare nelle complessità dell’intelligenza ecologica. Abbiamo bisogno di collaborare.
Gli psicologi –convenzionalmente- sostengono che l’intelligenza risiede all’interno dell’individuo. Ma le competenze ecologiche necessarie oggi per sopravvivere debbono essere un’intelligenza collettiva che noi dobbiamo acquisire e dominare in quanto specie e che è distribuita nella estesa rete che connette gli uomini. Le sfide che dobbiamo affrontare sono troppo varie, troppo sottili, e troppo complicate per essere comprese e vinte da una sola persona; riconoscerle e risolverle richiede sforzi immensi di una grandissima gamma di esperti, di tutti noi. Come gruppo, dobbiamo imparare a conoscere i pericoli che ci troviamo di fronte e le loro cause; da una parte dobbiamo cercare soluzioni per renderli innocui, e dall’altra dobbiamo capire le opportunità che le soluzioni offrono; e per fare tutto ciò è necessaria una determinazione collettiva.
Gli antropologi evoluzionisti riconoscono la capacità cognitiva richiesta per l’intelligenza condivisa come capacità specificamente umana, quella che è stata cruciale per aiutare la nostra specie a sopravvivere agli inizi. Più avanti, si è aggiunta l’intelligenza sociale che permise ai primi uomini di usare una collaborazione complessa per cacciare, procreare e sopravvivere. Oggi noi dobbiamo sfruttare al massimo queste stesse capacità per condividere la conoscenza per sopravvivere alle sfide che la minacciano.
Una intelligenza condivisa e distribuita diffonde la consapevolezza tra gli amici e nella famiglia, nell’azienda e nell’intera cultura. Quando una persona è arrivata a comprendere parte di questa rete complessa di causa ed effetto e lo racconta agli altri, questa intuizione diventa parte della memoria di gruppo a cui si può richiamare qualunque individuo del gruppo quando è necessario. Questa intelligenza condivisa cresce attraverso il contributo degli individui che fa avanzare la conoscenza e la diffonde in tutti gli altri. E pertanto noi abbiamo bisogno di scopritori, di esploratori che ci facciano conoscere le verità ecologiche, sia quelle con cui abbiamo perso il contatto che quelle scoperte di recente.
La natura condivisa dell’intelligenza ecologica la rende sinergica con l’intelligenza sociale, che ci mette in grado di coordinare e armonizzare i nostri sforzi. L’arte di lavorare insieme in modo efficace, combina le capacità come l’empatia e la visione in prospettiva, l'onestà e la collaborazione per creare legami tra le persone che attribuiscono all’informazione -durante il suo viaggio- un valore aggiunto. La collaborazione e lo scambio di informazioni sono vitali per accumulare la conoscenza ecologica essenziale e i data base necessari che ci mettono in grado di agire per la vita.
Il modo in cui gli insetti sciamano suggerisce un altro modo in cui l’intelligenza ecologica può diffondersi fra gli uomini. In una colonia di formiche nessuna formica ha un ruolo di primo piano o di guida delle altre (la regina deposita solo le uova); al contrario ciascuna formica segue delle semplici regole generali per lavorare insieme in innumerevoli modi al fine di raggiungere degli obiettivi auto-determinati. Le formiche trovano la strada più breve verso una fonte di cibo con semplici regole come quella di seguire le tracce del feromone. L’intelligenza dello sciame consente di raggiungere un obiettivo più grande attraverso un gran numero di individui che seguono principi semplici. Nessuno degli attori ha bisogno di dirigere gli sforzi del gruppo, nè c’è alcun bisogno di un direttore generale.
Considerando adesso i nostri obiettivi ecologici collettivi, le regole dello sciame potrebbero essere espresse in questo modo:
- Conoscere il nostro impatto,
- Cercare di ridurlo,
- Condividere quello che abbiamo imparato.
L’intelligenza dello sciame ha come conseguenza un continuo miglioramento della nostra intelligenza ecologica attraverso la consapevolezza delle vere conseguenze di ciò che facciamo e compriamo, consumiamo, la risoluzione a cambiare per il meglio, e la diffusione di ciò che sappiamo, in modo tale che gli altri possano fare lo stesso.
Segnali dell’inizio di questo cambiamento nella coscienza collettiva sono ampiamente visibili a livello globale: dai gruppi dirigenti che lavorano per rendere le operazioni della propria compagnia più sostenibili, agli attivisti di quartiere che distribuiscono buste della spesa di stoffa ri-usabili in sostituzione di quelle di plastica, all’attività di chiunque sia impegnato nel trovare un modo di interagire con la natura che trasformi la nostra propensione a fare affari a breve termine in una più sana relazione a lungo termine.
Le analisi profonde degli innumerevoli pericoli che derivano dall’attività umana e minacciano gli ecosistemi del nostro pianeta, come la crescita degli studi sul riscaldamento globale, sono solo un inizio. Ma non possiamo fermarci qui. Dobbiamo raccogliere i dati rilevabili sul posto, dettagliati e sofisticati, che possano guidare le nostre azioni. E ciò richiede una completa e continua analisi, una rigorosa disciplina e il perseguimento dell’intelligenza ecologica.
estratto da Daniel Goleman, Ecological Intelligence, 2009
traduzione di franca Bossalino
testo originale
Intervista di Scientific American a Daniel Goleman
http://www.genitronsviluppo.com/2009/05/26/intelligenza-ecologica-goleman/
|