C2C Certificazione Cradle to Cradle

Intervista di Inhabitat a William McDonough
di Andrew Michler e Jill Fehrenbacher, 22 ottobre 2010
traduzione di Franca Bossalino

 

INHABITAT: Che cosa l’ha ispirata a scrivere Cradle to Cradle (il libro) e a lanciare il sistema Cradle-to-Cradle?

William McDonough: Fin da giovane ero affascinato dai diversi approcci alle risorse. Crescendo in Giappone e a Hong Kong ho avuto l’opportunità di vedere per la prima volta i cicli completi dei materiali in cui i rifiuti diventano cibo e le risorse come l’acqua sono limitate e preziose. Questo contrastava enormemente con gli sprechi di cui sono stato testimone quando la mia famiglia si trasferì negli Stati Uniti e quella differenza mi colpì molto. Quando sono diventato architetto il mio pensiero ha continuato ad evolversi. Ho incorporato nei miei progetti elementi come l’energia solare e ho cominciato a considerare attentamente le origini dei materiali, ma Cradle-to-Cradle deriva dal mio incontro con Michael Braungart. Insieme abbiamo elaborato la filosofia che abbiamo poi articolato nel libro Cradle to Cradle: Remaking the Way We Make Things, pubblicato nel 2002.

INHABITAT: Può spiegarci come funziona il sistema di valutazione Cradle to Cradle, dal punto di vista sia del produttore che del consumatore?

William McDonough: La certificazione dei prodotti- Cradle to Cradle products Certification - è più che un sistema di valutazione:è un processo di gestione della qualità totale di un prodotto e un meccanismo di innovazione commerciale, che prende in considerazione non solo l’impatto ambientale, ma anche la sicurezza e la responsabilità sociale. La certificazione è un processo continuo e rigoroso e le aziende che l’hanno richiesta sperano di portare i loro prodotti base a raggiungere i riconoscimenti più alti- oro-argento-platino.  Nessuna azienda ha ancora ottenuto il platino.
La certificazione prende in considerazione cinque aspetti:
1)I materiali come nutrienti per assicurare un ciclo continuo;
2) i sistemi per chiudere in modo sicuro il ciclo dei nostri nutrienti biologici e tecnici;
3) alimentare tutte le operazioni con il 100% di energia rinnovabile;
4) considerare l’acqua come una risorsa preziosa;
5) rispettare tutti gli esseri umani e i sistemi  naturali.

INHABITAT: Ho parlato con Paul Murray della Herman Miller a proposito del vostro contributo alla loro produzione ed è assolutamente straordinario quanto il successo dell’azienda sia dovuto al vostro intervento. E’ stata questa la prima azienda con cui avete avuto un rapporto così profondo? Che cosa ha provocato un cambiamento etico culturale dell’azienda?

William McDonough: Abbiamo cominciato a lavorare con loro quando smisero di produrre le sedie di Eames costruite con il legno di rosa- una specie a rischio. In fondo non volevamo toccare l’icona dell’azienda, ma alla Herman Miller  lavorava una persona che era così appassionata a questi temi da coinvolgere tutta l’azienda che è andata avanti compatta e ha cambiato gli esecutivi per sostituire il legno di rosa con il legno di noce. E’stata veramente una gran bella cosa da parte loro. Quello di cui ci stiamo occupando è la qualità del prodotto e, come risultato, vediamo che molti degli attributi che vengono pubblicizzati dalle aziende sono componenti varie che riguardano singoli temi, come la riduzione dell’emissioni di carbonio. C’è anche molta enfasi sull’efficienza, che segue la tendenza di pensiero “noi siamo meno cattivi perché abbiamo ridotto la nostra cattiveria del 2°%”. Noi non vogliamo vendere quello che non siamo. Vede, se guardiamo questo simbolo con la scritta NO, ci rendiamo conto che stiamo vendendo quello che non siamo.

INHABITAT: Nel suo libro, Cradle to Cradle, lei sostiene che quando ricicliamo la carta rinunciamo alla sua qualità originale- perdiamo qualcosa. La maggior parte del riciclaggio è soltanto downcycling? Perdiamo la qualità ad ogni ciclo?

William McDonough: Giusto, quello che vogliamo, ancora una volta, è la qualità del prodotto, e quindi con una azienda come la Herman Miller c’è una scelta rispetto alla qualità: prodotti di qualità in un sistema di qualità, come si vede nella Construction Specialties qui al Green Build. Dalla prospettiva del mercato bisogna cominciare a dire cose come questa perché mettono in evidenza quello di cui dobbiamo preoccuparci e che ci sono persone che sono sinceramente interessate alle stesse cose.
In Cradle to Cradle abbiamo affrontato qualcosa che la gente può non capire quando proponiamo una forma di responsabilità del produttore rispetto al suo prodotto. La cosa di cui non si parla è "il ciclo vitale", perché non pensiamo che il materiale sia vivo. Non lo è. Non lo vediamo come un prodotto di consumo perchè non lo possiamo consumare. Non possiamo consumare una TV, perciò potremmo chiamiarla nutriente. Non si parla di ciclo vitale, ma di tempi d’uso. Non si parla di ritirare un prodotto ma di ribaltare la logistica o di raggruppare in modo intelligente i materiali. Se qualcosa è stata rimossa da un edificio in modo corretto, secondo i nostri protocolli, è una cosa sicura da rimuovere. Quello è acciaio, questo è alluminio, questo è… sono elementi definiti. Ritornano così nella riserva di materiali. E’ come una sedia della Herman Miller che finisce a Città del Messico dopo quindici anni, se qualcuno la butta in una discarica. Arriveranno i rigattieri e se la porteranno via. Vale qualcosa. La ragione per cui vale qualcosa è perché è di acciaio, è di alluminio, è di policarbonato, è di polietilene. Non è più una sedia, ma è una parte della riserva di materiali. Per cui l’alluminio può essere separato e torna all’alluminio, l’acciaio all’acciaio. Non sono ibridi mostruosi che non possono essere separati.

INHABITAT: Nel suo lavoro, lei parla di riciclo, rispetto al quale credo che molta gente, me compreso, fa molta confusione, in particolare quando si paragona all’upcycling. Guardando all’industria, moltissimi prodotti contengono materiale riciclato e per come viene pubblicizzato, molti pensano ancora che il prodotto riciclato al 100% sia il meglio che si può avere. Qual’è la distinzione tra recycling e upcycling?

William McDonough: Abbiamo coniato il termine ‘upcycling’ per spiegare che l'idea che la quantità di energia necessaria per trasformare un materiale in modo da poterlo riusare (recycling), è inferiore, in molti casi, al semplice riuso del prodotto nello stato in cui si trova (upcycling). Per esempio, il poliestere di cui è fatta una bottiglia di acqua è probabilmente la migliore qualità di poliestere esistente. La bottiglia conterrà alcuni contaminanti derivati dal processo catalitico, che rilasciano un po’ di antimonio- e questo non va bene perché è un catalizzatore. Ma a parte i contaminanti, la bottiglia è un pezzo spettacolare di materiale progettato dall’uomo. Se ricicliamo quel poliestere in una giacca di felpa alcuni direbbero ”Oh, hai ‘promosso’ una solitaria bottiglia di acqua facendola diventare un’ibrida giacca di felpa!”. Alcuni direbbero che è stata 'upcycled' in una giacca, ma da una prospettiva tecnica questo è un ‘downcycling” perché è stata privata dalle fibre e quindi, chimicamente, downcycled. Le fibre contaminate prendono la strada della discarica. Forse tutte le fibre. Queste non ritornano alle bottiglie, alla sua funzione più alta. Per cui, l'upcycling di una bottiglia di PET significa prendere una bottiglia di PET riimmetterla nel ciclo come PET eliminando l’antimonio.

INHABITAT:  La Construction Specialties ha recentemente ottenuto il certificato d’Oro Cradle- to-Cradle, in parte dovuto alla eliminazione del PVC e del PTB nei loro prodotti per le pareti interne. Possiamo parlare un po’ dei pericoli del PVC (Polyvinyl chloride) e del PTB (Phenyltetralylbutane)?

Howard Willams:  La cosa interessante è che all’interno del USGBC si è scatenato un putiferio contro l’attribuzione di un credito negativo -un paio di punti nel LEED- per chiunque usasse il PVC. Nel procedere della discussione, ho scritto due lettere all’USBG dicendo che o si accettano i crediti negativi o si debbono prendere delle posizioni chiare sul PVC. Penso che verrà presa una decisione, perché il PVC solleva solo una delle questioni, ma c’è un quadro più ampio di accumuli persistenti di tossine. Se si fermasse il PVC, si farebbe ben poco davvero. C’è bisogno di creare una consapevolezza sul fatto che il PVC esiste nei materiali edilizi e che può essere eliminato. E che dovrebbe essere eliminato non solo per gli edifici e la gente che ci vive, ma anche per la gente che li fabbrica. Un pezzo di tubo di PVC si può tenere in mano un giorno intero- è rigido, non ci sono perdite, ma se rintracciamo la comunità in cui si produce, emerge tutta una serie di problemi che riguardano le persone che lavorano nella fabbrica e quelle che abitano nelle vicinanze della fabbrica. Anche questo per me è un tema di tutela, c’è molto di più: i suoi effetti vanno oltre la costruzione; comprendono la salute, l’educazione e il bisogno di fare edifici sani. Questo, adesso, per noi fa la differenza. La bellezza è che c’è anche un modello commerciale che funziona, e che, se viene applicato può portare grandi profitti. Non c’è alcun ambientalista né alcuna organizzazione no- profit -tra quelle che ho incontrato che abbia detto il contrario. Sono tutte d’accordo perchè sanno che questo accelererà il cambiamento.

INHABITAT: Dieci anni fa la Herman Miller cominciò a sviluppare la sua intera linea secondo i concetti di Cradle-to-Cradle e oggi stanno vendendo alcune delle più belle sedie del mondo a prezzi giusti. Dove arriverà Cradle to Cradle , secondo lei?

William McDonough:  Credo che lei sarà molto sorpreso. Siamo solo agli inizi anche se ci stiamo lavorando da tanto tempo. Abbiamo integrato tutte le differenti idee che sono venute fuori, le abbiamo rese comprensibili e le abbiamo trasferite in un robusto e utilizzabile data-base. Infine, abbiamo registrato Cradle to Cradle per la pubblica utilità come Istituzione no-profit. Verrà sottoposto alla revisione degli scienziati e ci saranno ogni anno conferenze Cradle to Cradle per gli istituti che ci aspettiamo nasceranno in tutto il mondo. Recentemente ho firmato un accordo con l’Israeli Standards Institute che sta valutando Cradle-to-Cradle come lo standard per Israele. Perciò se si vorrà vendere qualcosa in Israele dovrà avere la certificazione Cradle-to-Cradle.
 
Howard Williams: Fra dieci anni questo potrebbe ancora chiamarsi GreenBuild perchè è il suo nome originale, ma nessuno parlerà di verde. La realtà  è che si parlerà di buon progetto o di cattivo progetto.  Non di progetto verde. Il cattivo progetto comprenderà molti altri aspetti oltre quelli visibili. Sarà qualcosa di più che “Si è rotto tre settimane dopo che l’ho comprato”.

William McDonough: Vede, questo è un buon modo di porre le cose, perchè noi consideriamo il progetto come il primo segnale di una intenzione. Ci siamo resi conto che stiamo progettando dall’alto della piramide. Se vogliamo progettare per tutti dobbiamo essere efficaci riguardo ai costi e tutto il resto. Non possiamo individuare attributi e certificazioni che confermino che l’azienda produce a zero emissioni di CO2, mentre magari i suoi prodotti  hanno un francobollo verde da qualche parte, che per quanto si può sapere potrebbe essere cancerogeno. Insomma questo non va bene- questo non è verde, è ancora nero. Non è cambiato niente. Tutto quello che è stato fatto è solo rumore.

INHABITAT: E’ vero che la sostenibilità non è una parola adeguata? Siamo in attesa di una nuova terminologia o la sostenibilità  è ancora praticabile?

William McDonough: Certo, credo che sia una bella parola perchè molta gente può usarla. Ma nessuno la sa definire. Questo fa parte del problema ed è per questo che noi non la usiamo mai. Ma dalla nostra prospettiva non la stiamo mettendo da parte, stiamo solo dicendo che è insufficiente. Per esempio, se le chiedo, come è il rapporto con sua moglie, lei che dice? Dice che è sostenibile? Non vuole che sia qualcosa di più? Non vuole creatività, divertimento e simili?
Se sosteniamo -soltanto- quello che stiamo facendo adesso, allora siamo tutti morti. Questa è una stupidaggine basata sul carbonio, non possiamo sostenerla. Perfino se riducessimo le nostre emissioni di carbonio, saremmo ancora nei guai. Non abbiamo un problema energetico, quello di cui un sacco di gente non si rende conto è che abbiamo un problema di materiali. Il carbonio nell’atmosfera è nel posto sbagliato, il carbonio appartiene al suolo. Abbiamo bisogno di un sistema definito e questo non è la sostenibilità.

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