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PROLOGO AI
LIBRI 1-4
L’ARTE DEL COSTRUIRE E LA NATURA DELL’UNIVERSO
di Christopher Alexander
traduzione di Franca Bossalino
L’attività che chiamiamo costruire crea l’ordine fisico del mondo, costantemente, incessantemente, giorno dopo giorno. Negli ultimi 5 millenni, gli esseri umani hanno creato milioni su milioni di metri cubi di costruzioni, edifici, case, strade e città- mondi interi. Il nostro mondo è dominato dall’ordine che noi creiamo.
Ma sebbene siamo responsabili della creazione dell’ordine a questa enorme scala, a malapena sappiamo che cosa significa “ordine”. La nostra idea di “ordine” è oscura. Pur essendo la parola usata da artisti, biologi e fisici– per indicare qualche regolarità profonda che non sappiamo definire esattamente- abbiamo bisogno di una maggiore comprensione della realtà geometrica dell’ordine. Se siamo onesti dobbiamo ammettere che quasi non sappiamo di quale fenomeno si tratti. Eppure, giorno dopo giorno, costruiamo il mondo, creando il suo ordine. Andiamo avanti così creando l’ordine nel mondo senza sapere cos’è, perché lo facciamo, quale significato possa avere.
In fisica e in biologia qualche progresso è stato fatto verso la comprensione del fenomeno dell’ordine e dei processi che lo creano. La creazione di organismi viventi attraverso il processo morfogenetico, la creazione della materia, delle stelle e delle galassie dall’esplosione nucleare, la costante creazione di particelle attraverso la reciproca interazione- tutto ciò è stato studiato negli ultimi 70 anni.
In questi campi adesso si ha un’idea rudimentale del modo in cui avviene la creazione dell’ordine. E si è, inoltre, chiarito che il modo in cui l’ordine viene creato è di importanza fondamentale per la nostra comprensione del mondo.
La nostra conoscenza dei processi che lo generano, in fisica, in chimica e in biologia, ha modellato la moderna visione dell’universo.
L’arte del costruire non ha, fino ad ora, avuto alcun impatto comparabile nella nostra comprensione del mondo.La nostra immagine moderna dell’universo, dello spazio e della materia, non è stata influenzata dal costruire e dall’architettura. Eppure, dimostrerò che il processo del costruire è un processo che crea l’ordine ed è altrettanto importante dei processi che generano l’ordine nella fisica e nella biologia. E’ vasto nella scala e nello scopo. E’ quasi universale nella nostra esperienza. E’ quindi ragionevole pensare che l’arte del costruire potrebbe offrirci altrettante intuizioni essenziali.
In seguito, cercherò di mostrare che c’è un modo di comprendere l’ordine che è generale e che spiega la natura del costruire e dell’architettura.
E’ una visione adeguata alla comprensione delle intuizioni che abbiamo sulla bellezza e sulla vita dell’edificio.
E’ una visione che svela che cosa significa per un edificio essere un grande edificio e quando un edificio funziona in modo appropriato. E’un senso comune e una visione potente, con risultati pratici.
Se accetterete la visione dell’ordine che io propongo, troverete che ha conseguenze teoriche inaspettate. Modifica la nostra visione dell’universo fisico e del modo in cui l’universo è composto.
Perciò, quello che inizia come un modo di intendere l’architettura, finisce con l’ essere una visione che può influenzare la nostra comprensione della fisica e della biologia.
Considerare l’arte del costruire dal punto di vista dell’ordine, non solo cambia la nostra comprensione del processo costruttivo, ma anche la nostra capacità di cambiare la nostra cosmologia. Non ho cominciato come filosofo e non ho alcun desiderio particolare di scrivere di filosofia o della natura delle cose. Non è il mio lavoro. Sono interessato soprattutto a una questione - come fare edifici belli.
Però, mi interessa soltanto la bellezza reale. Non mi interessa invece quel tipo di edifici lucidi che gli architetti del mio tempo, in generale, hanno fatto. Questi hanno, in molti casi, rinunciato alla bellezza reale- e anche, implicitamente, a un’ideale raggiungibile. Forse questo si può capire. Realizzare edifici che posseggano quella bellezza che era comune nell’Europa del XII o XV secolo e in centinaia di altre culture, in quasi tutte le epoche della storia umana– tranne che nella nostra- è per noi molto difficile. E lo è stato particolarmente nell’ultima parte del XX secolo e continuerà ad esserlo nel XXI. Per qualche strana ragione- che non mi era perfettamente chiara 35 anni fa- è tanto difficile che gli architetti ci hanno quasi rinunciato. Io non ho voluto farlo. Non sono mai stato d’accordo col subire o accettare la stupida idea della ‘buona architettura’ che certi architetti del XX secolo hanno imposto al pubblico.
Volevo essere capace di fare la cosa reale e pertanto dovevo sapere che cosa è. Il motivo non era la curiosità intellettuale ma soltanto una ragione pratica , volevo essere capace di farlo da solo.
Pensare a tutto ciò è stato estremamente difficile. Ci sono voluti 35 anni per trovare la mia strada districandomi tra le fronde concettuali dell’educazione in cui ero cresciuto. E credo che questa confusione intellettuale sia oggi condivisa da quasi tutti gli architetti. La mia natura è pratica. Cerco di riflettere accuratamente cose e voglio che abbiano un senso.
Lentamente- rispetto all’arte del costruire- scoprivo che la nostra mentalità moderna, il nostro modo di guardare il mondo, rende difficile, se non addirittura impossibile, cogliere i fatti come sono realmente. Questioni che in altre epoche erano dirette- come quella dello spirito o quella della vita che c’è nella pietra, sono per noi inammissibili. Trovavo quasi insopportabile, oltre che difficile, accettare alcuni dei concetti che mi avevano guidato nel corso del mio lavoro.
Tuttavia, i problemi che dobbiamo affrontare se dobbiamo fare le cose belle mi riportava sempre più alle domande fondamentali sulla natura della materia e sulla natura della tradizione empirica, soprattutto la tradizione che facciamo risalire a Cartesio.
Come scienziato cresciuto nella matematica al Trinity College di Cambridge, a volte mi ritrovavo a formulare dei concetti che erano difficili da credere. A volte sentivo di tradire la mia formazione.
I nuovi principi che venivo scoprendo mi sembravano discutibili. In qualche caso era perfino imbarazzante formularli, e anche molto duro perchè potessi crederci io stesso. Guardavo sempre alla mia tradizione empirica e alla tradizione di pensiero in cui ero stato allevato a Cambridge, e a volte mi vergognavo di quello che dicevo. Ma i fatti che scoprivo erano più forti del mio malessere. Mi accorsi di essere capace di costruire una visione coerente dell’ordine che aveva a che fare con la natura della bellezza, ma solo formulando nuovi e sorprendenti concetti sulla natura dello spazio e della materia. Alla fine è stato il mio rispetto per la verità empirica che mi ha fatto abbandonare i dubbi e che mi ha dato la forza di formulare concetti che per un empirico della tradizione del XX secolo, sono sospetti o potenzialmente ridicoli.
Ancora oggi quando riconsidero la teoria che ho formulato in questi quattro libri, a stento posso credere che sia vera. La visione dell’universo che propone è così sorprendente e tanto in conflitto con l’attuale comune modo di pensare la realtà fisica, da sembrare quasi fantascienza.
Altre volte, riflettendoci, mi rendo conto del fatto che, per quanto strane siano queste idee è difficile fare a meno di concludere che siano vere. Non sembra esserci un’alternativa– almeno nessuna che io sia stato in grado di scoprire- che offra una visione appropriata delle cose che sono importanti.
I lettori scettici condivideranno i miei stessi dubbi sulle mie formulazioni teoriche. Ma per questo motivo e anche perché è proprio il lettore scettico che vorrei persuadere, li voglio esprimere e confesso il mio malessere che deve essere almeno grande quanto quello del più scettico dei lettori. Ma alla fine credo che quello che ho scritto sia vero.
Quando ero bambino, fui colpito da Santa Teresa, la monaca carmelitana spagnola del XVI secolo la quale– secondo la storia- fu fatta santa non perché credesse intensamente in Dio, ma perché era assalita dal dubbio. Il più delle volte non credeva in Dio. Solo una volta ogni tanto. Ma non rinunciò mai alla sua lotta e al suo dubbio. Lottò con la sua fede e, proprio attraverso il dubbio, ebbe di tanto in tanto momenti nei quali credeva davvero…
La nostra confusione in architettura
Penso all’architettura del XX secolo come a una psicosi di massa di dimensioni senza precedenti, in cui numerosi popoli della terra- in particolare nelle società contemporanee- hanno creato una forma di architettura contro la vita, insana, dominata dall’immagine, vuota.
La bruttezza creata nelle città del mondo e la banalità e la pretenziosità di molti edifici del XX secolo, delle strade e delle aree di parcheggio, hanno stravolto la terra.
Molto di quanto è stato costruito è stato fatto dagli imprenditori, dalle istituzioni preposte all’edilizia, dai proprietari di alberghi, motel, dalle autorità aeroportuali. In questo senso gli architetti non sembrerebbero biasimabili, dal momento che in qualche misura, la bruttezza di quello che è stato fatto è dovuta a una nuova relazione tra il tempo, il denaro, il lavoro, i materiali e una serie di condizioni in cui la cosa reale- l’architettura autentica che ha un senso profondo e un vero valore- è quasi impossibile.
Ma gli architetti non sono senza colpa. La maggior parte di loro è stata complice, contenta di avere un ruolo in quanto parte della macchina del XX secolo. In qualche caso ha fatto anche peggio. Ha inventato modi di pensare l’architettura assurdi, ha rivestito lo sviluppo commerciale di pretenziosità; ha avvelenato la terra con una terrificante quantità di edifici senza senso che hanno poche caratteristiche che possano redimerli.
Naturalmente ci sono molti architetti che hanno lottato per fare un’architettura socialmente utile.
Case a basso costo, ricoveri per gli homeless, per le comunità, migliori edifici ad appartamenti, uffici nel verde e parchi. Ma anche costoro, a volte, non riescono a raggiungere l’obiettivo. La soddisfazione intellettuale provocata da questi obiettivi sinceri è raramente accompagnata dalla sensazione del valore aggiunto a edifici, strade e quartieri capaci di nutrire e sostenere anche la parte sacra della nostra vita.
Nelle società tradizionali l’edificio era sempre qualcosa che rappresentava il valore umano, che elevava la vita, che sosteneva un concetto dell’esistenza umana spirituale e pieno di significato.
Oggi, invece, troppi architetti si stropicciano le mani cinicamente, imponendo le immagini al pubblico, costruendo opere che non sono amichevoli nei confronti delle comunità o dello spirito umano, mentre lo sono per i costruttori che ne ricavano grandi profitti e che fanno di tutto per pubblicizzarli nelle riviste patinate, economicamente gratificanti.
Naturalmente gli architetti, come altri, hanno una coscienza.
Molti di noi si lamentano di questa situazione. Molti lottano. Molti non sanno che fare. Dobbiamo mangiare, non possiamo permetterci di perdere il lavoro.
Le condizioni che creano l’architettura disumana che si sta producendo non possono essere analizzate troppo da vicino, perché una verifica più accurata può portarci a porre domande scomode. Quindi in una forma o nell’altra tutti noi, architetti, costruttori, urbanisti, finanziatori, che abbiamo preso parte alla costruzione dell’ambiente moderno, abbiamo partecipato a derubare la terra, volenti o nolenti, e nella maggior parte dei casi, con poco più di una modesta obiezione. E’ questo che intendo quando dico psicosi di massa.
C’è mai stato un periodo nella storia della terra in cui un gruppo di persone a cui la società ha affidato il compito di costruire e preservare il nostro mondo fisico, lo hanno invece distrutto, diventando collaboratori del nemico- quando il nemico è, addirittura, sconosciuto a molti di noi? Ma c’è un nemico? Eppure molti di noi, hanno ridotto la professione a una condizione in cui non solo si condivide questa pazzia, ma si perpetua, si protegge, si espande. Io non credo che gli architetti siano felici di tutto questo, non più di quanto lo siano anche gli altri membri della società. Negli ultimi decenni si sono cominciate a sentire alcune voci. La gente ha scritto, ha parlato. Basta con i nuovi vestiti dell’imperatore! Lo vediamo tutti che è nudo. Basta con queste sciarade.
Che cosa si deve fare? In che modo un architetto che sente che le cose sono sbagliate, le può correggere? Molti di noi sanno che qualcosa è sbagliato, eppure non sanno concretamente come agire per correggerla.
Come è possibile migliorare questa situazione, quando il processo che causa tanta distruzione è così radicato nella società da rendere impossibile a un architetto o anche a centinaia di architetti di ribellarsi e avere un effetto positivo?
In che modo l’architettura dipende dalla nostra immagine
del mondo?
A mio parere, pochissime persone si rendono conto di quanto la confusione esistente fra gli architetti del nostro tempo sia dovuta alla nostra concezione dell’universo.
Ho cominciato a pensare che l’architettura è agonizzante e disturbata perché noi- gli architetti contemporanei- stiamo lottando con una concezione del mondo, con una immagine del mondo, che essenzialmente rende impossibile costruire bene.
Credo che il problema sia così profondo da rendere estremamente difficile costruire il più modesto e utile edificio in modo coerente.
Molti di noi non sono consapevoli del fatto che la nostra concezione delle cose- la nostra idea dell’universo- possa avere un qualche effetto concreto o immediato sulla nostra attività di architetti…
…Non siamo consapevoli del fatto che i nostri sforzi sono influenzati in modo sostanziale dall’idea che abbiamo delle cose, l’idea che abbiamo del mondo.
La maggior parte di noi non è forse nemmeno consapevole del fatto di avere una qualche immagine del mondo.
E se la esaminassimo attentamente, scopriremmo, senza dubbio, una miscela di cose piuttosto complicata: vaghi concetti degli atomi, delle galassie e delle stelle; della vita organica apparsa sulla terra, scaturita da qualche brodo di amminoacidi. In aggiunta, c’è senza dubbio, un pò di preoccupazione per i nostri amici esseri umani, un qualche tipo di compassione, un po’ di consapevolezza che certe cose sono più belle di altre.
Come può questo cumulo caotico di cose, che costituisce una concezione del mondo, essere responsabile di qualche cosa?
Come può essere vero che questa concezione può interferire così profondamente con i nostri sforzi di costruttori, tanto da rendere quasi impossibile costruire bene un edificio?
L’implicazione sembra fantasiosa. Eppure è esattamente quello che penso..
Credo che abbiamo dentro di noi un’idea del mondo residua- essenzialmente meccanica nella sua natura- che potremmo chiamare l’idea meccanicistica e razionalista del mondo.
Che noi crediamo o no di sottoscrivere questa immagine, che noi siamo o non siamo consapevoli dell’impatto del suo residuo che è in noi, perfino quando ci consideriamo mossi da preoccupazioni spirituali o ecologiche, la maggior parte di noi è ancora, in misura maggiore o minore, sotto l’influenza di qualche residuo di questa idea meccanicistica del mondo. Come un’infezione è entrata dentro di noi, influenza le nostre azioni, i nostri costumi, il nostro senso della bellezza.Controlla il modo in cui pensiamo quando progettiamo e- secondo me- rende totalmente impossibile fare edifici belli.
Che cosa intendo esattamente con ‘idea meccanicistica e razionalista del mondo’? Intendo ‘l’immagine che è emersa dalla fisica del XIX secolo. Un’immagine del mondo fatta di atomi che ruotano in modo meccanico: un mondo in cui si è presunto che tutto l’universo sia un meccanismo cieco, che gira a modo suo, sotto la spinta delle ‘leggi della natura’. Queste sono essenzialmente quelle leggi meccanicistiche che spiegano come gli atomi e le strutture da loro create procedono sulla loro strada sotto l’influenza di forze e di configurazioni.
Associata a questa c’è un’immagine più ampia che comprende il clima, l’agricoltura, la vita animale, la società, l’economia, l’ecologia, la medicina, la politica e perfino la vita familiare- tutte considerate in modo più o meno meccanicistico.
Pur ammettendo di non poter conoscere le leggi precise e tutti i meccanismi, presumiamo che alla base della nostra ignoranza ci siano alcune leggi non perfettamente formulate che spiegano come le cose funzionano, anche nel nostro intorno. Perciò andiamo avanti con la sicurezza semplice e leggera che tutto sia creato dall’attrarsi e respingersi degli eventi, in modo molto simile a quanto accade agli atomi del XIX secolo.
Naturalmente ci sono relativamente poche persone oggi che credono con tutto il cuore che il mondo sia davvero così.
I fisici- specialmente i grandi fisici- hanno un atteggiamento più umile e curioso sulla natura dell’universo. E anche molti che non sono scienziati.
Gli architetti, almeno esplicitamente, sono raramente interessati a questa immagine meccanicistica del mondo. Superficialmente, gli architetti sembrano interessati a questioni più profonde- artistiche e sociali- che spesso sono più misteriose e più interessanti.
Comunque, cercando di indagare la natura del puzzle che circonda il collasso dell’architettura, ho cominciato lentamente a convincermi che molti architetti che sono diventati famosi negli anni recenti e la cui opera è diventata un modello per i più giovani, sono stretti nella morsa di questa concezione meccanicistica, anche se non lo sanno.
Sono arrivato alla conclusione che le strane fantasie, il linguaggio, la strana natura della galleria d’arte del XX secolo, il decostruttivismo, il postmodernismo, il modernismo e tanti altri- ‘ismi’ che influenzano il nostro mondo fisico, sono generati dalla trappola che imprigiona, nello stesso tempo, la natura dell’architettura, la pratica dell’architettura e la concezione meccanicistica dell’universo.
Perciò credo che alla radice dei problemi che riguardano l’arte e l’architettura, ci sia un errore fondamentale dovuto a una certa concezione della natura della materia, della natura dell’universo. Più precisamente, credo che l’errore e la confusione nella nostra idea dell’arte del costruire derivi dall’idea che abbiamo della materia.
L’attuale concetto di materia e quello opposto che cercherò di formulare, possono essere sintetizzati nella natura dell’ordine.
La nostra idea di materia è governata essenzialmente dalla nostra idea di ordine, dalla nostra idea di come lo spazio possa venire organizzato ; e questo, a sua volta, è governato dalla nostra idea di come l’organizzazione ordinata nello spazio crea la materia.
Quindi è la natura dell’ordine che sta all’origine del problema dell’architettura.
Quando capiremo che cosa è l’ordine credo che capiremo meglio che cosa è la materia e che cosa è lo stesso universo.
Ma finché saremo- come siamo- imprigionati, anche inconsapevolmente, nell’immagine meccanicistica- troppo semplice- della materia, è inevitabile che gli architetti -e l’architettura che creano-, non possano che andare avanti nella cieca confusione di cui troppi di noi hanno fatto esperienza in più di mezzo secolo.
Questo è il tentativo che voglio fare in questo libro: mostrare come l’architettura può recuperare la sua unità attraverso una nuova idea della natura dell’ordine e attraverso una nuova idea della natura della materia stessa.
Che cosa è l’ordine?
Sappiamo che ogni cosa, intorno a noi, è governata da un immenso ordine. Ne facciamo esperienza ogni volta che facciamo una passeggiata. L’erba, il cielo, le foglie sugli alberi, l’acqua che scorre nel fiume, le finestre delle case lungo la strada; tutto è ordinato. E’ questo ordine che ci fa restare senza fiato. E’ il cambiamento del cielo, delle nuvole, dei fiori, delle foglie, dei volti che ci circondano, l’abbagliante coerenza geometrica che ha tanto significato per la nostra mente. Ma per questa geometria che significa tanto, che ci fa sentire tanto chiaramente la presenza dell’ordine- non abbiamo un linguaggio.
E che cosa dovremmo fare per creare l’ordine? Anche il più piccolo edificio ha un ordine di grande complessità. Nel corso del progetto, quando si disegna il volume dell’edificio- la filigrana della struttura, i pavimenti, le finestre, le porte, le decorazioni- ci confrontiamo con la complessità. Più il progetto è grande, più cose ci sono in ballo, più la natura dell’ordine diventa cruciale.
Che genere di ordine dovrebbe incorporare il progetto perché il risultato sia soddisfacente?
Che cosa intendo esattamente per ordine?
In un certo senso ciascuno di noi sa che cos’è l’ordine. Ma quando io mi domando che cosa è l’ordine nel senso della realtà geometrica profonda, tanto profonda che io stesso lo posso usare e che può aiutarmi a creare la vita nell’edificio, allora ecco che questo ordine è molto difficile da definire.
Gli scienziati hanno cercato di definire l’ordine per circa un secolo. L’idea dell’ordine come concetto preciso è entrata prima nella fisica- come sottoprodotto della termodinamica- quando l’ordine delle molecole in un gas perfetto venne analizzata numericamente da Ludwig Boltzmann nel 1872 attraverso l’idea dell’entropia.
Sfortunatamente l’ordine che può essere trattato come entropia negativa è troppo semplice e nel caso dell’arte che è più complessa, è quasi banale.
Nel XX secolo, la comunità scientifica ha ricercato con grandissimo impegno un concetto preciso di ordine e i tentativi di estendere la nozione dell’ordine della termodinamica a tutti i generi di ordine furono fatti da molti studiosi anche esterni al campo della fisica. Ma nessuno di loro è andato abbastanza lontano da essere d’aiuto all’artista.
Quale altra idea di ordine possiamo derivare dalla fisica moderna? Potremmo concentrarci sul genere di ordine della cristallografia, definito dalla ripetizione. Ma questo concetto è troppo limitato. Potremmo sviluppare i concetti di ordine militare o gerarchico. Anche questi sono troppo limitati.
I modelli complessi generati da regole che interagiscono sono più interessanti e danno la possibilità di considerare tutti gli ordini come prodotti di un processo generativo matematicamente determinabile. Questo potrebbe darci un’idea generale di ordine come quello di qualunque sistema prodotto da regole morfogenetiche interagenti.
Ancora più complessa è l’idea di ordine biologico -l’ordine delle cose che crescono, in cui un sistema si evolve continuamente a formarne un altro. Negli anni recenti i biologi hanno cercato di formulare concetti di ordine più sofisticati. Ma questi tentativi non hanno portato risultati praticamente utili nel campo dell’arte del costruire.
Forse, una delle più chiare definizioni è stata espressa dal fisico David Bohm, che ha cercato di delineare una teoria possibile in cui esistono ordini a molti livelli e che sono costituiti da gerarchie di ordini progressivamente più complessi. Ma nessuno di questi, per quanto suggestivi, sono direttamente utili al costruttore. Nessuna di queste teorie è abbastanza profonda o concreta per darci un aiuto nell’architettura in cui noi ogni giorno, concretamente, noi cerchiamo di creare l’ordine. Nelle idee correnti di ordine non c’è alcun concetto che ci aiuti a creare la vita profonda che può esistere negli edifici e negli altri artefatti.
Naturalmente, oggi, quando cerchiamo di fare un edificio, in genere ignoriamo questo problema.
La debole visione meccanica di ordine è improbabile che continui a funzionare nel clima intellettuale del XXI secolo.
Qualunque idea di ordine è inadeguata, perché, secondo me, poggia su fondamenta sbagliate
E’ l’idea di ordine esistente nel pensiero del XX secolo che è inadeguata.
L’ordine come meccanismo
Nel XX secolo abbiamo avuto l’illusione che tutto l’ordine che vediamo intorno a noi nel mondo, possa essere spiegato dalla scienza, soprattutto- presumiamo- dalla fisica.
Ma la fisica e le altre scienze tendono a rappresentarci certe cose come meccanismi. E questo ci dà solo una immagine parziale di ordine. Tutto qui.
Possiamo ad esempio prendere la struttura di una foglia, la struttura di un ponte, la struttura di un nucleo dell’atomo. In ciascuno dei casi, è presente una elaborata concezione dell’ordine meccanico.
Lo stelo di una foglia sostiene le sue membrane che contengono le cellule che ricevono il sole e trasformano l’energia del sole in materia che fa crescere la foglia. Le parti di un ponte sono concepite come elementi di un sistema di forze che si sviluppa nel ponte in risposta a un certo sistema di carico, di sforzi e tensioni causate dall’espansione termica e così via. Anche nell’immagine che abbiamo del nucleo dell’atomo, l’ordine è concepito essenzialmente in relazione alle forze. Anche le particelle di cui è fatto l’atomo sono considerate veicoli di forze che tengono insieme il nucleo e che, in particolari condizioni, possono anche farlo esplodere.
L’ordine della fisica è soltanto ordine meccanico. L’ordine è descritto- e anche inventato- sempre in relazione al modo in cui la cosa funziona in quanto meccanismo. Le tre cose che ho portato come esempio sono concepite come piccole macchine che producono certi risultati quando vengono spinte, stimolate, spremute o bombardate.
Ma che dire dell’ordine che esiste in una foglia, nel tempio di Ise in Giappone, nella torre gialla dell’Anatra Selvaggia in Cina, nella sinfonia di Mozart o in una bella tazza da tè?
L’armoniosa coerenza che ci riempie e ci commuove, questo ordine, non può essere rappresentato come un meccanismo.Eppure è proprio questa armonia, questo aspetto dell’ordine che ci colpisce e ci commuove quando lo incontriamo nel mondo.
E’ quasi impossibile considerare una sinfonia di Mozart come una macchina che funziona in un certo modo. Quindi in un’opera d’arte la visione meccanicistica dell’ordine ci fa sempre perdere l’essenza della cosa.
Sebbene la scienza del XX secolo ci offra un modo di vedere l’ordine come generatore di effetti, non abbiamo ancora un modo di considerare l’ordine come una cosa che semplicemente esiste, dal momento che la visione scientifica del mondo ci mostra la geometria della materia come se fosse parte di una macchina- una macchina che può fare certe cose. Non abbiamo un modo di vedere l’ordine nel sorriso di una statua del Buddha, o nella esatta posizione di un fiore nel vaso, o della composizione delle note in una canzone o dell’armonia in un meraviglioso edificio.
L’idea meccanicistica dell’ordine si può far risalire a Cartesio. La sua posizione era questa: se volete sapere come funziona una cosa, potete scoprirlo facendo finta che sia una macchina.
La isolate completamente da qualunque altra cosa- sia questa una palla che rotola, una mela che cade, il sangue che fluisce nel corpo umano- e inventate un modello meccanico.
Cartesio, comunque, capì una cosa che noi spesso dimentichiamo, cioè che questo processo è solo un metodo... non è così che la cosa funziona nella realtà. E’ un’esercitazione mentale conveniente, qualcosa che noi facciamo alla realtà per poterla comprendere.
Dal XVII al XX secolo, si è usato questo metodo per scoprire qualcosa di meccanico sul mondo, poi nel XX secolo, in qualche caso, la gente ha cambiato il suo stato mentale e ha cominciato a trattare la realtà come se questa immagine meccanica fosse davvero la natura delle cose, come se ogni cosa fosse davvero una macchina. Questo è quello che io chiamo il punto di vista meccanicistico del mondo.
L’apparizione di questa visione meccanicistica del XX secolo ha avuto due terribili conseguenze, entrambe devastanti per l’artista.
La prima è che l’Io è uscito dalla nostra visione del mondo. La visione del mondo come macchina non ha un Io. L’Io, quello che significa essere una persona, la profonda esperienza dell’essere una persona, non fa parte di questa visione. Naturalmente è sempre presente nella nostra esperienza. Ma non fa parte della visione che abbiamo delle cose.
Allora, che succede? Come si può fare qualcosa che non abbia in sé l’Io? Quand’è che l’intero processo del fare viene dall’Io? Il processo di chi cerca di essere un artista in un mondo in cui non c’è una nozione sensibile dell’Io e nessun modo naturale in cui la vita personale profonda possa far parte della nostra visione delle cose, lascia l’arte del costruire in un vuoto. Non si riesce a darle un senso.
La seconda, è stata la sparizione dal mondo di una chiara comprensione del valore. L’immagine del mondo derivata dalla fisica, costruita solo di macchine mentali, non ha più alcun senso definito del valore: il valore è stato messo da parte in quanto viene considerato una questione di opinione e non è intrinseco alla natura del mondo.
Così, l’idea dell’ordine è andata in pezzi. L’idea meccanicistica ci dice molto poco sull’ordine profondo di cui percepiamo intuitivamente l’esistenza nel mondo. Ma e’ proprio questo ordine profondo che soprattutto ci interessa.
La vera natura dell’ordine profondo è imperniata su una questione semplice e fondamentale:
”Quali affermazioni riconosciamo essere vere o false?”
Questa, nella visione di Cartesio è la domanda che distingue la sua visione meccanicistica da quella che io cerco di descrivere.
Secondo la visione cartesiana del mondo- largamente accettata dagli scienziati del XX secolo- si crede che le uniche affermazioni che possono essere vere o false sono le affermazioni che riguardano i meccanismi. Queste costituiscono i cosiddetti “fatti” familiari agli uomini del XX secolo.
Nella mia visione del mondo anche un secondo genere di affermazioni può essere vero o falso.
Sono le affermazioni sul grado relativo di vita, di armonia, di integrità- in breve le affermazioni sul valore.
In questa visione, sostengo che le affermazioni sull’integrità relativa sono anche basate sui fatti e sono le affermazioni essenziali. Hanno un ruolo più fondamentale delle affermazioni sui meccanismi. E’ per questa ragione cha la visione dell’ordine che sto presentando ci coinvolge inevitabilmente in un cambiamento della visione del mondo.
Supponiamo di dover posizionare una porta in una parete. Mentre cerco di decidere dove metterla, posso fare alcune affermazioni di fatto, meccanicistiche. Per esempio, posso dire di una porta che deve essere abbastanza grande da farci passare un frigorifero, che deve resistere al fuoco per un’ora, che pesa 25 chili e via dicendo. Posso anche fare affermazioni più elaborate: in un caso, attraverso la porta si può vedere; in un altro, non si può. Posso anche dire che la posizione della porta può disturbare una persona che lavora perché le scrivanie sono troppo esposte ai rumori prodotti da chi passa. Potrei fare delle verifiche di queste affermazioni, ma è sempre, in linea di principio, una affermazione di tipo cartesiano.
Tutte queste affermazioni sono, potenzialmente, affermazioni basate sui fatti ed è accettato che affermazioni di questo tipo possano essere vere o false.
Ma se io sto cercando di mettere la porta nel muro penso: “questa posizione si integra di più nell’unità della stanza che non un’altra”; “questa cornice è più armoniosa e più integrata nella vita della stanza di quell’altra”; “questa porta crea più vita nella stanza di un’altra”.
Queste, secondo i canoni della scienza del XX secolo, non sono considerate affermazioni che possono essere vere o false, ma opinioni.
Noi abbiamo imparato a vivere con questo principio. Ci siamo abituati.
Ma pensate a quanto è bizzarro.
In quanto architetti, costruttori e artisti, siamo costantemente chiamati- in ogni momento del giorno- a dare giudizi sull’armonia relativa. Cerchiamo sempre di decidere che cosa è meglio e cosa è peggio nell’elaborare il progetto. Se le sole affermazioni considerate potenzialmente vere o false sono affermazioni meccanicistiche di fatti e se tutte le affermazioni sull’armonia, sulla bellezza, su che cosa abbia più o meno vita, sono sempre considerate questioni di opinione che possono solo riferirsi a canoni individuali e arbitrari di giudizio, allora, in linea di principio, la discussione razionale sugli edifici dovrebbe essere impossibile.
Credo che l’impatto devastante di questo stato di cose sul progresso dell’architettura non sia stato sufficientemente discusso negli ultimi decenni. Noi non potremmo in teoria legittimamente discutere di quello che facciamo come architetti con qualche speranza di ottenere il consenso.
Se accettiamo l’idea del XX secolo per cui le affermazioni di valore sono necessariamente solo dichiarazioni di opinioni, è, in linea di principio, impossibile raggiungere una conclusione condivisa del processo costruttivo e sono possibili solo conclusioni individuali ed arbitrarie.
Io suggerisco che deve esserci qualche altro modo in cui le affermazioni di valore possono essere vere. Questa nuova idea estesa di verità non è soltanto oggettiva ma è legata direttamente ai sentimenti della gente.
Questa idea di verità oggettiva consentirà alle affermazioni sull’armonia relativa, sull’integrità e via dicendo, di essere giudicate vere o non vere. In questa visione, le affermazioni non sono opinioni individuali ma descrivono la struttura delle cose del mondo così come sono.
L’impatto distruttivo del pensiero meccanicista sull’arte
del costruire
Farò ancora qualche esempio riguardo all’impatto altamente negativo che l’idea di verità meccanicistica ha avuto sull’arte dell’architettura nel XX secolo.
Nell’architettura degli ultimi decenni, la discussione costruttiva sul valore è diventata difficile e qualche volta addirittura impossibile.
Sull’onda dell’immagine meccanicistica del mondo abbiamo costruito una visione pluralistica del valore. Quando vogliamo discutere i pro e i contro di una particolare azione- in architettura, nella pianificazione e nel paesaggio- ognuno ha una sua particolare visione o un particolare orientamento rispetto al valore. Invece di riflettere lucidamente, invece di accrescere la consapevolezza comune su che cosa dovrebbe essere fatto in un edificio, in un parco, o anche in una panchina di un piccolo parco- in breve, invece di discutere lucidamente su che cosa è bene fare- la situazione è quella in cui alcuni punti di vista diversi e incompatibili si fanno la guerra per un’azione non perfettamente compresa.
Il nostro fallimento nel costruire un mondo vivente nasce necessariamente da questa situazione. Poiché, nella struttura meccanicista, i differenti valori di cui l’architettura è portatrice sono intrinsecamente inconsistenti, questi assumono la confusione dei modi di pensare - individuali, differenti e inconsistenti- come una condizione fondamentale che appartiene all’architettura. Consciamente, o inconsciamente, l’architetto è convinto che soltanto le affermazioni basate sui fatti (in senso meccanicistico) possono essere vere e pertanto le considerano un’ulteriore conferma(inconsapevole) dell’idea che quello che è bene è qualcosa che si aggiunge alle affermazioni dei fatti- qualcosa che è (di necessità nella corrente visione del mondo) soltanto una questione di opinione.
Tutto ciò suona astratto. Ma il suo impatto sul nostro mondo è stato enorme. Ha creato un clima mentale di arbitrarietà ed ha gettato le fondamenta di un’architettura dell’assurdità.
Per Buckminster Fuller, il peso era la cosa più importante. Perciò sostenne lil concetto delle strutture leggere. A lui non importava che una cupola geodetica fosse difficile da usare, forse non tanto gradevole da guardare, e quasi impossibile da suddividere all’interno in modo utile e piacevole. Quello che lo interessava era il suo obiettivo di fare edifici che coprissero la distanza maggiore con il peso minore.
Le Corbusier ha scelto la separazione delle funzioni. Con il CIAM decise che residenza, ricreazione, trasporto e lavoro erano tanto importanti da definire il loro valore in quanto costruzione di spazi adeguati e separati nella città. Nel procedere, può aver dimenticato l’intreccio con altre funzioni, ma era soprattutto l’obiettivo di separare le quattro funzioni, che ha determinato i suoi progetti urbani. Più di recente, abbiamo esempi di architetti che hanno scelto il riferimento alla storia come valore principale del loro progetto.
E non importa se l’edificio funziona o meno; quello che importa è che abbia una certa immagine. Un’altro architetto può scegliere forme selvaggiamente geometriche ...gli architetti fanno scelte eccentriche diverse perché all’interno della visione meccanicistica del mondo non è possibile operare mentalmente senza una qualunque scelta personale di quel tipo. Virtualmente ogni architetto che opera oggi è costretto a fare qualcosa di simile.
Un altro architetto, ancora, ha abbracciato l’ecologia. Cerca di preservare la natura. Ma come si fa? Nelle aree di Beverly Hills soggette agli incendi, il terreno non dovrebbe essere liberato dagli alberi e ripulito per prevenire gli incendi? Non dovrebbe essere lasciato a parco lasciando gli alberi per l’ombra? Non dovrebbe essere lasciato incolto per preservare l’habitat degli uccelli e della vegetazione locali? Dovrebbe essere abbandonato, semplicemente, per risparmiare denaro? Dovrebbe essere selvaggio o coltivato? Ancora una volta, all’interno della visione meccanicistica si tratta di una pura questione di opinione.
“Soltanto la scienza può pronunciarsi sui fatti. Prefigurare che cosa fare, è una questione individuale di arte o di etica. E’ un vostro diritto naturale elaborare i vostri propri valori. Non solo la nostra visione scientifica non vi dirà nulla sul valore ma “è vostro compito di democratici farlo da soli.”.
Tutto ciò continua solo a rendere irreale “la vita” delle città, degli edifici e dei paesaggi è come se non esistesse.
Rende anche molto difficile, in linea di principio, la cooperazione, la collaborazione e l’accordo sociale.
Quello di cui abbiamo bisogno è un punto di vista condivisibile in cui i molti fattori che influenzano l’ambiente possano coesistere coerentemente, in modo tale che noi possiamo vivere insieme- non per confrontarci e discutere- ma perché condividiamo un’unica visione olistica dello scopo della vita.
Una nuova visione dell’architettura
Per raggiungere l’obiettivo di costruire edifici che abbiano una vita e un ordine profondo- è necessario liberarsi dalla trappola meccanicistica, concentrandosi sulla vita e sull’ordine di un edificio come qualcosa in sé. Io credo che tale formulazione possa derivare solo da una nuova visione del mondo che intenzionalmente considera le cose nella loro totalità- non come parti o frammenti- e che riconosce come reale,“la vita” anche in una cosa apparentemente inanimata come un edificio.
In questa nuova visione dell’ordine troveremo, necessariamente, un’ idea post-cartesiana e non meccanicistica di quali siano le affermazioni che possiamo ritenere vere; una teoria in cui l’affermazione sul grado relativo di armonia, o di vita, o di totalità, cioè, gli aspetti fondamentali dell’ordine, possono essere considerati veri o falsi.
Ciò significa che dovremo avere una visione del mondo in cui il grado relativo di vita nei differenti insiemi è considerato un luogo comune e un modo cruciale di parlare delle cose.
Un tale ordine creerà una nuova relazione tra l’idea di ornamento e la funzione.
Nell’attuale visione dell’ordine architettonico, la funzione è qualcosa che possiamo considerare intellettuale; e quindi, può essere analizzata attraverso il canone meccanicistico cartesiano.
L’ornamento, al contrario, è qualcosa che ci può piacere ma non può essere compreso intellettualmente. La prima è seria, il secondo è frivolo. Funzione e ornamento sono perciò separate l’una dall’altra. Non c’è alcun concetto di ordine che ci faccia vedere gli edifici come funzionali e ornamentali allo stesso tempo.
La visione dell’ordine che descrivo in questo libro è molto differente. Funzione e ornamento vengono considerate nello stesso modo. L’ordine è profondamente funzionale e profondamente ornamentale. Non c’è differenza tra ordine funzionale e ordine ornamentale. Impareremo a vedere che mentre sembrano diversi, sono solo differenti aspetti di un unico tipo di ordine.
Quello che è ancora più importante è che vedremo come la struttura che io identifico come il fondamento dell’ordine, è anche individuale. Man mano che impareremo a capirlo, vedremo che il nostro sentimento- il sentimento radicato e vivo dentro di noi, individuale e condiviso- di che cosa sia essere una persona, è anch’esso inestricabilmente connesso all’ordine.
Pertanto l’ordine non è estraneo alla nostra umanità. E’ qualcosa che sta proprio al centro dell’esperienza umana.
Risolviamo il dilemma cartesiano e creiamo una visione dell’ordine in cui la realtà oggettiva “là fuori” e la nostra realtà personale “qui dentro” siano completamente connesse.
Per configurare questa idea di ordine dovremo affrontare concetti che investono tutta la scienza-perfino la biologia e la fisica- perché è necessario includere una nuova idea di quali affermazioni siano vere o false.
La vita di un edificio diventerà visibile come qualcosa di empiricamente vero. Vedremo che la torre gialla e gli altri edifici del primo gruppo di esempi mostrati in questo capitolo, hanno più vita degli edifici modernisti del secondo gruppo di esempi. Questo diventerà oggettivamente chiaro non in quanto questione di opinione, ma come un dato di fatto che riguarda l’ordine che essi posseggono.
La mia teoria non è in alcun modo contro la scienza, è semplicemente un’estensione della scienza.
Come tutte le scienze, mostrerà una visione delle cose che dipende da strutture chiaramente definite: strutture, però, che ci mostrano l’ordine in un nuovo modo che non esiste nel pensiero scientifico del nostro tempo.
Quello che presenterò è una visione della scienza leggermente modificata, che include il meccanismo considerato come in passato, ma include anche un nuovo tipo di struttura forte, associata a un nuovo genere di osservazione, che trasforma la gamma e l’estensione dell’esperienza che la scienza può illuminare.
La nuova visione ci mostrerà il mondo come un luogo completamente diverso da quello che abbiamo immaginato. E ogni cosa ci apparirà diversa, non solo gli edifici.
I fiori, le pozzanghere, le cascate, i ponti, le montagne, la luna, la terra, le maree, le onde dell’oceano, i dipinti, le stanze in cui viviamo, i vestiti che portiamo- tutto apparirà differente ai nostri occhi, come qualcosa di nuovo e meraviglioso.
Allora vivremo, letteralmente, in un differente universo mentale.
A quel punto, non solo avremo afferrato concretamente l’ordine come un unico fenomeno che influenza ogni cosa dell’architettura, ma avremo anche una visione trascendentale dello spazio e della sostanza.
Sebbene questa concezione dell’ordine sia chiara in termini concreti, ci offrirà anche una parziale comprensione della natura della materia che va oltre la nostra visione materiale della sostanza e ci invita in un dominio al di là dei limiti dello spazio e del tempo.
Perciò non è solo il dettaglio di che cosa è l’ordine ad essere investigato, ma proprio la natura dell’ordine. Finché avremo una concezione confusa su che cosa sia l’ordine, faremo inevitabilmente edifici brutti, case che non sostengono il benessere dell’essere umano, giardini e strade che sono in conflitto con la natura e un mondo che distrugge le nostre anime.
Il fenomeno della vita
C’è un grande accordo oggi sul fatto di voler costruire città ed edifici che facciano la loro parte nel preservare e sostenere la vita sulla Terra.
Ciò è avvenuto, in larga misura, come risultato del crescente interesse per l’ecologia.
Quando si studia l’ecologia, si parte dall’idea che dobbiamo preservare la natura, preservare la foresta pluviale e ogni tipo di boschi con gli animali e le piante che li abitano. Questo desiderio generale di preservare le cose viventi si è poi esteso agli edifici, ai quartieri, alle città; anche questi debbono essere costruiti per contribuire all’equilibro, all’armonia e alla vita della Terra.
Il tentativo di far sì che gli edifici svolgano il proprio ruolo nel sistema vivente della natura è stato visto come un problema limitato poiché significa che l’uso dell’energia, l’uso di materiali, l’uso delle risorse, dovrebbe essere coerente con l’obiettivo di preservare la Terra come sistema vivente in equilibrio.
In tempi più recenti questo interesse si è allargato.
Molti oggi dichiarano la loro aspirazione a costruire città ed edifici che siano parte del tessuto vivente della Terra e che, in fondo, siano essi stessi sistemi viventi.
Ma a questo punto ci troviamo di fronte a un insolito problema scientifico.
Nelle scienze biologiche – alla fine del secolo XX- non c’è una definizione utile, precisa o adeguata della “vita”. Nell’ortodossia scientifica tradizionale del XX secolo, la vita, o, per essere più precisi, un sistema vivente- è stato definito come ‘un meccanismo speciale’.
La parola “vita” è stata applicata soltanto a un limitato sistema di fenomeni. Questo concetto deve cambiare.
“L’ordine” può essere considerato un più generale sistema di strutture matematiche che emergono grazie alla natura dello spazio. E anche “la vita” è un concetto altrettanto generale. Infatti, nello schema delle cose, ogni forma di “ordine” possiede un grado di “vita”. Pertanto, la vita non è un concetto meccanico limitato che si applica all’auto-riproduzione, alle macchine biologiche. E’ una qualità intrinseca allo spazio stesso e si applica ad ogni mattone, ad ogni pietra, ad ogni persona, ad ogni struttura fisica- di qualunque tipo- che appare nello spazio. Ogni cosa ha la sua vita.
L’esigenza di una visione più ampia della vita deriva, in modo semplice, dalla visione ecologica. Oggi, molta gente ha cominciato a riconoscere l’importanza che hanno, per la Terra, gli animali, le piante e i sistemi viventi; e hanno cominciato a cercare una visione dell’architettura che risponda all’esigenza di preservare la vita.
Finora è stato abbastanza intuitivo. Ciò significa che, oltre agli edifici, gli architetti vogliono creare sistemi di alberi e piante che si auto-sostengano: sistemi edilizi che siano una cosa sola con la natura, integrati nei processi naturali, che non danneggino le foreste dell’Amazonia, come pure gli uccelli e le farfalle dei loro giardini. Per alcuni decenni gli architetti e la gente comune hanno considerato questo tipo di architettura come qualcosa da desiderare.
Ma dobbiamo ampliare questa visione ecologica. Quello che c’è in essa- quello che c’è già come seme al suo interno- è una concezione della vita che va oltre la limitata visione meccanicistica della vita biologica e che, in qualche modo, abbraccia tutte le cose.
Se vogliamo avere una visione ecologica dell’architettura, naturalmente dobbiamo avere l’idea che il nostro lavoro sulla Terra sia quello di creare la vita negli edifici e nelle città e non solo nella parte selvaggia della natura.
Questo è molto diverso dal semplice preservare la vita naturale esistente.. Significa creare, allo stesso tempo, la vita nelle cose fatte dall’uomo e in quelle naturali. Pensiamo all’Inghilterra meridionale, per esempio, alla sua natura e alle meravigliose distese abitate- le piccole città, i villaggi, i campi, le foreste e le brughiere che si estendono dalla Cornovaglia al Kent e dalla costa meridionale al Midland. La consideriamo come naturale ma è artificiale, quasi tutta. Tremila anni fa non c’era. E’ una struttura creata con consapevolezza, grande forse 300 miglia per 100, ed è stata creata lentamente, in periodo di tempo di circa 1000 anni.
I campi, i fossati, i boschi, le siepi, le strade, i sentieri dei pascoli, i ruscelli, gli stagni, i ponti, e i villaggi sono cose che includono la natura, che hanno la stessa vita che noi attribuiamo alla natura. Ma sono state fatte dall’uomo.
La creazione di strutture non naturali possiede la vita; è stato fatto qualcosa di più che semplicemente preservare la natura.
E’ stata più difficile da farsi, tanto per cominciare, perché ha dovuto essere inventata. Ed è anche possibile che abbia provocato enormi difficoltà di tipo concettuale. Per comprenderla, per afferrarla mentalmente e per realizzarla, bisognava avere una concezione delle cose per cui la relazione tra il tessuto vivente, in senso strettamente biologico, e la materia non-vivente (sempre in senso strettamente biologico) potesse essere chiarita e compresa.
Noi, non solo vogliamo che il cespuglio sia vivo per gli uccelli, la terra, la pioggia e via dicendo, ma dobbiamo anche capire come il pezzo di legno sulla soglia di casa o la lastra di cemento sul bordo della fioriera, si adattano all’interno di questo modello di vita e lo completano. Quindi noi stiamo cercando un modello di vita che comprende i cosiddetti organismi viventi e la cosiddetta materia inerte in un unico sistema vivente.
E’ il caso di analizzare le interazioni tra uomo e natura e da quella interazione far scaturire l’armonia che hanno la bellezza della natura e lo spirito della vita. Questa struttura è stata ripetutamente realizzata in differenti culture e in differenti epoche: la casa e il giardino giapponese, le colline terrazzate cinesi, la costruzione di Machu Picchu, la creazione del paesaggio medievale, il rapporto degli indiani Cheyennes con le pianure in cui piantavano le loro tende.
Questi sono eccellenti modelli per noi che lottiamo sia contro le catastrofi ecologiche, sia contro un mondo artificiale e che è brutto, aggressivo e che non sostiene la vita.
La necessità di una definizione più ampia
e adeguata della vita
Fino ad ora non abbiamo una definizione di vita che si applichi in modo chiaro ai sistemi più grandi e complessi. Nel XX secolo quello che si intendeva come vita- il concetto scientifico di vita- era definito principalmente come la vita degli organismi individuali. Qualunque sistema costituito da carbonio, ossigeno, azoto e idrogeno, capace di riprodursi, di curarsi da solo e di rimanere stabile per un certo tempo di vita, era considerato un organismo. Questa non è una definizione precisa.
Sorgono alcuni problemi … Per esempio: un uovo fecondato è vivo durante i primi 5 minuti? Un virus è vivo? Una foresta è viva? Carbone, ossigeno, azoto e idrogeno sono necessari a quella che definiamo vita? Anche se con molte lacune logiche, in termini ampi è la vita dell’organismo individuale che ci offre la base per definire ciò che nell’ultima parte del secolo trascorso- abbiamo considerato vivo e che abbiamo definito “vita”. Abbiamo cominciato, è vero, a fare alcune estrapolazioni di questa idea di vita e ad applicarle a sistemi più complessi. Per esempio, siamo riusciti ad estendere il concetto meccanico di vita fino a comprendere i sistemi ecologici (anche se, rigorosamente parlando un sistema ecologico non è vivo, perché non corrisponde alla definizione di organismo che si auto-riproduce.)
Noi consideriamo un sistema ecologico come un sistema di organismi e perciò, sebbene non sia vivo di per sé, è certamente associato alla vita biologica.
Il compito di creare e conservare il mondo naturale si può capire nei termini di uno sforzo per aumentare la vita organica in una particolare area del mondo e questo ha un significato scientifico in parte ragionevole. Ma questa estrapolazione non ci aiuterà a considerare davvero i sistemi complessi come cose viventi.
La miscela di naturale e artificiale che esiste in qualunque città o in qualunque edificio- o nella grande struttura lunga 300 miglia dell’Inghilterra meridionale- solleva complicate questioni di definizione a cui abbiamo appena cominciato a rispondere.
In tutti questi casi abbiamo ovviamente sistemi non-viventi mischiati a sistemi viventi: per esempio, le travi di una casa, le tegole del tetto, la strada, il ponte, il cancello; perfino i solchi nei campi. Nel linguaggio normale scientifico non è possibile chiamare queste cose vive. Eppure chiaramente hanno un ruolo vitale nella vita generale dei sistemi superiori. Se aderiamo all’immagine puramente meccanicistica del mondo, ci fermiamo alla protezione della natura nella sua forma più pura- come i puristi dell’ecologia che conservano la natura così com’è perché questo è l’unico modo in cui possono definire chiaramente che cosa vogliono.
Nel momento in cui vogliamo trattare il più complesso sistema di edifici e natura insieme, come un unico sistema vivente, ci imbarchiamo in problemi teorici perché non abbiamo più una definizione scientifica adeguata di quello che stiamo cercando di fare.
Per esempio, secondo la terminologia biologica attuale, una città non è un organismo vivente, anche se spesso gli scienziati sociali in cerca di metafore la assumono come riferimento. Ovviamente anche un edificio non è un sistema vivente. Come possiamo cercare di rendere una regione, un edificio, una città o un giardino, un sistema vivente, quando secondo l’attuale ortodossia scientifica queste cose non sono sistemi viventi?
Nel primo libro rifletterò su un concetto della vita ampio, in cui ogni cosa- indipendentemente da quello che è- pietra, trave o pezzo di cemento- possiede un certo grado di vita. Il particolare grado di vita presente nell’organismo verrà perciò considerato un caso speciale di un concetto di vita più allargato. Sebbene ciò possa sembrare assurdo alle orecchie educate negli ultimi decenni della ortodossia scientifica, cercherò di dimostrare che questo concetto è più profondamente scientifico e ha solide fondamenta nella scienza della matematica e della fisica dello spazio e, soprattutto, ci offre una visione unica e coerente del mondo e di quello che noi stiamo facendo nel mondo.
Nella visione del mondo attuale, uno scienziato non se la sentirebbe di definire un’onda che si infrange sulla spiaggia come un sistema vivente. Se io dicessi che quest’onda che si infrange possiede la vita, il biologo mi rimprovererebbe e direbbe: “Suppongo che tu voglia dire che l’onda contiene molti microrganismi e forse una coppia di granchi e che perciò è un sistema che ha vita.” Ma questo non è quello che io voglio dire. Quello che io intendo dire è che la stessa onda –il sistema che la scienza ha considerato un sistema idrodinamico puramente meccanico di acqua che si muove- ha un certo grado di vita.
E voglio dire, in generale, che ogni singola parte del continuum materia-spazio ha un qualche grado di vita, alcune parti ne hanno di più, altre di meno.
Non è difficile comprendere come questo concetto- qualora riuscissimo ad afferrarlo-- renderebbe molto più facile progettare edifici, città e regioni. Se il concetto di vita è assolutamente generale, allora, dovremo essere capaci di estenderlo dal puramente naturale (come la conservazione di un insieme di alberi) alla cooperazione tra naturale e artificiale (strade, giardini, campi) e anche agli stessi edifici (coperture, pareti, finestre, stanze).
Allora, diventerebbe facile dare un senso all’architettura- poiché potremmo semplicemente procedere con questa idea nella mente, cioè, che tutto il nostro lavoro ha a che fare con la creazione della vita e che l’impegno, in qualunque progetto particolare, è quello di ‘fare il possibile perché la vita si manifesti nell’edificio’.
La percezione della vita nei sistemi ecologici
Passiamo adesso alla nostra esperienza della vita esistente nella natura che ci circonda. Questa è il grado più alto di vita “ecologica” presente in ogni ecosistema naturale. Comprende il benessere di una vasta gamma di organismi naturali- piante, animali, parassiti, pesci- che esistono dentro e intorno a un edificio.
Gli stagni con i pesci, i fiori rampicanti, l’erba, il muschio sopra gli edifici, gli alberi che fanno ombra nei cortili, i gatti, i cani, i topi, e i ragni. In tutti questi casi, abbiamo una sensazione intensa della vita e dell’amore per la natura che ha stimolato la più recente disciplina dell’ecologia. Nelle pagine seguenti ci sono due scenari. Due foreste. Possiamo osservare una profusione spontanea di organismi. La loro vita è la vita che ci è familiare e che riconosciamo nella natura, nelle piante, negli animali e in noi stessi. Eppure, come ho già detto non c’è una definizione semplice di vita in un ecosistema.
All’interno di una definizione strettamente biologica di un sistema vivente come l’organismo, un sistema ecologico come totalità non è vivente. Noi, comunque, facciamo esperienza della sua vita. E riconosciamo i diversi gradi di vita e di salute, nei differenti sistemi ecologici.
Negli anni recenti abbiamo cominciato a formulare descrizioni tecniche di queste ecologie che ci consentono di distinguere quale è più in salute di un altra.
In ogni caso, al di là del graduale emergere di precise formulazioni nella scienza dell’ecologia, noi abbiamo la sensazione che un prato sia più vivo di una altro, un ruscello sia più vivo di un altro, una foresta sia più tranquilla, più vigorosa, più viva di un’altra che, invece, sta morendo.
Anche qui, senza tener conto di quello che gli ecologisti hanno fatto o non fatto per formularlo, noi facciamo esperienza- come di un fatto del mondo- del ‘grado di vita': un concetto essenziale che riguarda il centro delle nostre percezioni del mondo naturale e che fondamentalmente ci nutre. Certamente noi percepiamo differenti gradi di vita nei diversi eventi umani.
Considerate qualunque azione sociale. Guardate il semplice atto di stringersi la mano. In un caso abbiamo la sensazione che sia pieno di vita e in un altro che sia meccanico e senza vita..
Guardate il vostro bar preferito: un luogo che vive di notte, quando c’è una vita speciale, logora, rauca. Il bar, il night club, uno stagno con i pesci. Una panchina nel giardino. Strette di mano. Una sera al ballo. La vita di cui parlo include l’essenza vivente di qualunque evento ordinario della vita: il ristorante di una città italiana vive la notte in senso ordinario; la vita di un parco a Coney Island; la vita di un mucchio di cuscini lanciati su una panca nell’angolo di una finestra- qualunque edificio in cui ci sentiamo vivi, un luogo dove i fiori di campo crescono rigogliosi, un luogo in cui le persone sono libere di parlare, mangiare e bere ed essere se stesse.
Questa qualità ordinaria ma intensamente viva degli edifici e dei luoghi è portatrice di un senso totale di liberazione funzionale e di libertà spirituale interiore. Ci sentiamo a nostro agio. Soprattutto, quando ne facciamo esperienza, ci sentiamo vivi.
Questa vita ordinaria, come la vita biologica, ha un aspetto tipico. E’ raramente rozza, non curata. E’ comoda, ruvida sui bordi, liscia come se fosse stata levigata. Questo tipo di vita è la vita comune che non è connessa all’arte o all’alta moda. Non ha niente a che fare con le immagini. Si presenta più profondamente quando le cose semplicemente vanno bene, quando passiamo il tempo piacevolmente o quando facciamo esperienza della gioia o del dolore, quando facciamo esperienza della realtà.
La libertà che nasce quando la vita è al massimo della sua spiritualità ed è anche la più comune, arriva, inoltre, quando “siamo ubriachi in Dio” come dicono i Sufis: leggera e libera.
In queste circostanze, siamo liberi dai nostri pensieri, capaci di reagire direttamente alle circostanze che incontriamo e meno dipendenti dai manierismi, dai pregiudizi, dalle idee. Questo è l’insegnamento centrale dello Zen e di tutte le religioni mistiche. E’ anche la condizione in cui siamo capaci di vedere la totalità che esiste intorno a noi, percepirla direttamente e risponderle. L’associazione con il bar non è completamente stupida. L’ubriachezza non c’è dubbio che a volte sia il male stesso, ma anche libera la nostra capacità di vedere la verità più chiaramente.
La vita negli edifici e nelle opere d’arte del XX
secolo
La sensazione di vita profonda che proviamo di fronte agli artefatti tradizionali è meno comune nel XX secolo, soprattutto negli edifici.
Non è comune perchè- come sarà più chiaro in seguito- i processi necessari a creare la vita, nel XX secolo, si sono logorati.
Ciò nonostante anche se in misura più modesta, ogni tanto si ha la sensazione di qualcosa che è dotato di vita, e, naturalmente, l’abbiamo avuta in migliaia di casi nel secolo trascorso. Questo avviene nei casi in cui le opere sono, per quanto possibile, libere dai concetti.
Non si basano sulle immagini o su idee della realtà, ma in esse la realtà viene alla vita in modo libero. Sono opere vigorose e dirette, in cui l’anima dell’autore è entrata nella cosa o in cui i processi comuni della vita quotidiana, incontaminati da idee o prescrizioni, si sono evoluti in modo tale che ci riesce facile accettarli. Queste opere ci fanno sentire a nostro agio, perché le riconosciamo come genuine. La vita che percepiamo in esse deriva da questa genuinità.
Dal momento che è nostra intenzione fare cose che sentiamo vive nella nostra epoca, sono proprio queste che ci debbono ispirare in modo particolare.
I nostri sforzi di dare forma alla vita, debbono essere coerenti con la vita così com’è nel nostro tempo ed è questo che deve ispirarci e che deve essere il nostro principale obiettivo.
Per creare questa vita, dobbiamo prima capire come questa scaturisca dalla totalità e, anzi, sia proprio la totalità. La totalità esiste intorno a noi e la vita scaturisce da quella. Ogni situazione in cui ci troviamo, anche la più prosaica, è capace di possedere la vita.
La comodità della quotidianità e la mancanza di qualità dell’immagine sono le cose principali che producono la vita in condizioni normali. Un uomo in maniche di camicia, un bar trasformato in stazione di servizio, una pavimentazione pensata per durare a lungo, ma anche per onorare piccole piante senza essere preziosa, le macchine in un laboratorio, la decorazione su un gigantesco tir, un’amaca non troppo nuova, una fotografia attaccata al muro sopra al tavolo di chi lavora, il colore su una parte della vetrina, la qualità festosa di una grande tenda dove ballano migliaia di persone, la pedana di carico in un deposito dove due persone, al sole, stanno mangiando un panino durante la pausa pranzo.
Queste sono le cose ordinarie che costituiscono la nostra vita, anche nell’ambiente contemporaneo..
Quello che dobbiamo capire è che questa quotidianità, nelle sue molteplici manifestazioni, come pure le espressioni più alte dell’arte moderna sono prodotte dalla stessa struttura: questa struttura è la “vita”.
estratto da:
Alexander, C., The Nature of Order: An Essay on the Art of Building
and the Nature, ed. Taylor & Francis, 2002
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