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Proposta di pace 2009
Verso la competizione umanitaria: una nuova corrente nella storia.
di Daisaku IKEDA
(estratto)
La crisi finanziaria iniziata con il crollo dei mutui statunitensi subprime e con la bancarotta della banca di investimenti Lehman Brothers ha colpito i mercati di tutto il mondo, con conseguenze così gravi che gli esperti parlano di «un evento che si verifica una sola volta in un secolo».
Il dissesto finanziario di questi ultimi mesi è stato paragonato alla drammatica crisi economica che negli anni Trenta sconvolse il mondo e preparò il terreno allo scoppio del secondo conflitto mondiale. Per quanto i leader politici si stiano impegnando per trovare risposte efficaci, la crisi del sistema finanziario sta mettendo in ginocchio l'economia reale, provocando un aumento della disoccupazione e rendendo sempre più concreti i rischi di una recessione mondiale.
Se si considera che gli effetti della grande depressione si manifestarono in tutta la loro gravità soltanto a distanza di due anni dal crollo delle borse del 1929, ci si rende sempre più conto di quanto sia difficile la situazione in questo momento.
Le persone hanno il diritto di vivere in pace e nel rispetto della dignità umana, e lavorano ogni giorno con impegno per questo scopo. È inaccettabile che le basi del nostro sostentamento vengano spazzate via dagli effetti di uno tsunami che nessuno di noi poteva prevedere e che ha avuto origine in una sfera al di fuori del nostro controllo.
Mi auguro che per scongiurare ulteriori aggravamenti della crisi i governi rafforzino i meccanismi di coordinamento in materia di politica fiscale e monetaria, riuniscano le proprie conoscenze e prendano misure tempestive e adeguate.[…]
[…]L'avidità sfrenata che caratterizza il capitalismo di oggi è stata ampiamente documentata. Come ho avuto modo di sottolineare in altre occasioni, la crisi affonda le sue radici nel culto insano per il denaro, il segno astratto e immateriale della ricchezza. A mio avviso questa ossessione per il denaro è la patologia fondamentale che affligge la civiltà contemporanea. In senso figurato potremmo dire che, finita la guerra fredda, le speranze di un mondo libero dalle ideologie siano scomparse nel ventre insaziabile e beffardo dell'onnipotente Mammona (figura biblica che rappresenta la ricchezza materiale idolatrata, n.d.r.).
Di per sé la valuta - cioè le montagne di carta straccia, i pezzi di metallo e, più recentemente, i sofisticati bit informatici che governano le economie di mercato – non ha alcun valore d'uso ma solo un valore di scambio puramente convenzionale e frutto di accordi. La valuta, nella sua essenza, è astratta e anonima. I mercati finanziari l'hanno privata di qualunque connessione significativa con beni e servizi concreti e definiti, facendola diventare un oggetto del desiderio senza limiti intrinseci e reali. Da ciò nasce a mio avviso la particolarità del culto patologico per il denaro.
La ricerca incessante dell'efficienza per aumentare i profitti e l'instabilità della valuta sono gli elementi che descrivono al meglio lo stato attuale delle economie di mercato, il cui sviluppo è stato affidato alle attività economiche di singoli individui non sottoposti ad alcun vincolo. È a questo proposito che l'economista Katsuhito Iwai ha richiamato l'attenzione sulla «fondamentale incompatibilità» fra efficienza e instabilità, che caratterizza non solo i mercati finanziari ma anche le economie di mercato in generale.
[…] Lo spirito di astrazione
Poco dopo la fine della seconda guerra mondiale il filosofo francese Gabriel Marcel ha pubblicato un saggio intitolato Lo spirito di astrazione, un fattore di guerra, che ha il merito di offrire interessanti spunti di riflessione. Secondo Marcel la capacità di sviluppare e manipolare concetti astratti è indispensabile per l'attività intellettuale degli esseri umani, tuttavia le astrazioni che ne derivano sono in realtà prive di sostanza. Anche l'idea di "essere umano" deve essere considerata il frutto di un'astrazione. Nella realtà invece siamo tutti uomini e donne, giapponesi o americani, vecchi e giovani, e proveniamo ciascuno da un luogo particolare.
Osservando gli altri con più attenzione possiamo riconoscere le caratteristiche uniche di ciascun individuo. Sviluppando quest'attitudine rimaniamo ancorati alla realtà concreta, mentre qualunque discussione sull'"essere umano" o sull'"umanità" che non tiene conto delle differenze genera concetti astratti che acquistano vita propria e sono avulsi dalla realtà.
Marcel utilizza il termine "spirito di astrazione" per indicare il meccanismo fondamentalmente distruttivo che spinge gli esseri umani a concepire e a rappresentare le cose senza tener conto della realtà concreta.
Secondo il suo pensiero, per esempio, si può fare la guerra solo se prima si nega il carattere umano dell'avversario e lo si riduce a un concetto astratto, come il fascista, il comunista, il sionista, il fondamentalista islamico... Scrive Marcel: «Nel momento in cui qualcuno [...] richiede il mio impegno a compiere un'azione bellicosa contro altri esseri umani (che in conseguenza del mio impegno dovrei anche essere pronto ad annientare), chi sta esercitando un'influenza su di me riterrà assolutamente necessario che io neghi la realtà individuale dell'essere umano che devo distruggere. Per trasformarlo in un mero bersaglio impersonale è assolutamente necessario che io lo riduca a un'astrazione».
Senza questo tipo di riduzione sarebbe impossibile giustificare o trovare un senso nella partecipazione alla guerra.
In altre parole lo spirito di astrazione non è mai neutro. Marcel osserva che esso non è mai separato dalla natura passionale del rifiuto e del risentimento (ressentiment) che genera tale sprezzante riduzione. Non appena le persone vengono trasformate in concetti astratti possono essere considerate senza valore, inferiori e addirittura pericolose, tanto da poter essere distrutte. Non esistono più come persone nella pienezza della loro umanità.
Marcel afferma: «Lo spirito di astrazione appartiene essenzialmente all'ordine delle passioni e [...] d'altra parte è la passione e non l'intelligenza a creare le astrazioni più pericolose». Per tutte queste ragioni egli considerava la propria attività filosofica «una battaglia ostinata e instancabile contro lo spirito di astrazione».
Tornando alla crisi finanziaria attuale, dobbiamo chiederci se la nostra società non sia rimasta imprigionata in questo spirito di astrazione. Siamo forse vittime delle lusinghe del mondo astratto e anonimo del denaro che, come in un incantesimo di Medusa, ci ha fatto smarrire la capacità genuinamente umana di comprendere che il denaro, sebbene sia necessario per il funzionamento della società, altro non è che una convenzione, una sorta di realtà virtuale?
L'amore per il denaro va oltre il desiderio per ciò che è meramente materiale. Esso ci intrappola e ci ammalia, spingendoci a compiere azioni che normalmente non faremmo. Se per esempio un'azienda viene meno alle sue responsabilità verso la collettività e persegue unicamente gli interessi dei suoi azionisti (la loro ricerca immediata di profitti) è evidente che metterà in secondo piano i legami concreti con il mondo reale e con gli individui, siano essi dirigenti, impiegati, clienti o consumatori.
In tutto il mondo si odono le voci piene di rimorso di titolari di aziende che, pur
essendo imprenditori coscienziosi, si sono sentiti costretti dalle logiche del mercato a giocare tale ruolo ripugnante.
In verità la globalizzazione incentrata sulla finanza ha prodotto un gran numero di persone di questo tipo. Irretiti come siamo dallo spirito di astrazione, abbiamo dimenticato che la nostra vera umanità esiste soltanto nella totalità degli aspetti che compongono la persona umana. In misura maggiore o minore siamo diventati tutti esempi di homo economicus, incapaci di riconoscere altri valori oltre il denaro.
Ovunque nel mondo le persone avvertono un senso claustrofobico di impotenza che cresce in misura direttamente proporzionale alla velocità con cui avanza la globalizzazione. A mio modo di vedere questo è il prezzo che paghiamo per colpa dell'arroganza e dell'egoismo di quanti perseguono ciecamente il profitto coltivando l'illusione che la società umana possa continuare a esistere anche quando l'ambiente naturale e la cultura vengono sistematicamente distrutti.
Ignoriamo a nostro rischio e pericolo le parole senza tempo di Jose Ortega y Gasset (1883-1955) che mettono in luce il legame indissolubile che esiste fra noi e ciò che ci circonda: «Io sono me stesso più il mio ambiente. Se io non lo salvo, non posso salvare neanche me stesso».
L'homo economicus è il prodotto di una tendenza intrinseca al capitalismo. Più è pura la forma di capitalismo che viene predicata, più veniamo costretti - nelle nostre differenti vesti di azionisti, dirigenti, clienti e consumatori - a seguire questa direzione. Se ci si sottrae a questo meccanismo si finisce, almeno a breve termine, per subire una perdita.
Robert B. Reich, Segretario di Stato al lavoro durante l'amministrazione Clinton, da tempo mette in guardia contro le insidie della "nuova economia". In un suo recente saggio Reich condensa i molteplici aspetti della nostra personalità da un lato nel ruolo di investitori e consumatori e dall'altro nel ruolo di cittadini.
«La scomoda verità - sostiene Reich - è che siamo in disaccordo con noi stessi: come consumatori e investitori puntiamo a fare grandi affari, come cittadini disapproviamo le conseguenze sociali che ne derivano».
La sfida decisiva consiste nel trovare un punto di equilibrio e recuperare la nostra umanità nella sua completezza. E tuttavia nell'era del supercapitalismo «i consumatori e gli investitori acquistano potere a scapito dei cittadini». Gli interessi del capitalismo hanno la precedenza su quelli della democrazia. La preponderanza degli interessi economici ha accentuato gli aspetti negativi del capitalismo come la disparità di reddito, l'instabilità del mercato del lavoro e la distruzione dell'ambiente.
E la lista potrebbe continuare. La crisi finanziaria ed economica in atto ha messo seriamente in dubbio quell'aspetto del capitalismo che generalmente tutti considerano positivo: la sua capacità di creare ricchezza. Come dimostrano i recenti avvenimenti, la ricchezza prodotta si è dimostrata spesso un'illusione.[…]
[…]Chi ricopre responsabilità politiche dovrebbe avere uno sguardo ampio e imparziale e utilizzare le proprie capacità per realizzare il bene più grande possibile. È importante prendere misure rapide e coraggiose, come il sostegno fiscale e finanziario e il rafforzamento delle reti di sicurezza sociale, per dare una risposta al drammatico crollo della produttività delle aziende e al conseguente aumento della disoccupazione.
Occorre dedicare una particolare attenzione al problema della povertà, che ha raggiunto dimensioni planetarie e rischia di privare milioni di persone del loro diritto a un lavoro dignitoso e significativo.
Il lavoro è un'attività umana fondamentale da cui gli individui traggono la motivazione e la speranza per realizzare pienamente se stessi e contribuire al benessere della società. Dobbiamo impegnarci al massimo per risolvere questo problema.
Al tempo stesso non dobbiamo dimenticare la lezione degli anni Trenta, quando il controllo eccessivo sull'economia da parte dello stato si intrecciò alla nascita del fascismo. Riguardo a questo punto credo che dovremmo prendere sul serio il monito di Marcel contro i pericoli dello spirito di astrazione.
Vincenti e perdenti
Per descrivere gli effetti negativi della globalizzazione, in Giappone sono usate comunemente espressioni come "la società stratificata" (kakusa shakai), "la squadra dei vincenti" (kachigumi) e "la squadra dei perdenti" (makegumi).
Dobbiamo stare in guardia contro questa tendenza a usare un linguaggio che, mettendo nello stesso calderone fenomeni differenti, non fa altro che oscurare la realtà concreta e denigrare gli sforzi delle singole persone. Questa terminologia non ha nulla a che vedere con la realtà quotidiana di quanti si sforzano per superare gli ostacoli che inevitabilmente sorgono nel difficile contesto economico-sociale del nostro tempo.
Né la vittoria né la sconfitta sono condizioni permanenti. Etichettare le persone come "vincenti" o "perdenti", come si fa oggi in Giappone, significa usare un metro di giudizio basato sulla supremazia economica. Queste classificazioni non tengono minimamente conto della persona umana nella sua totalità.
La società è piena di esempi di persone dotate di un solido autocontrollo che, senza lasciarsi influenzare dalle lodi o dalle critiche altrui, non si esaltano per i loro successi né si abbattono di fronte alle sconfitte. Se si ricorre sempre più spesso a espressioni che pretendono di riassumere fatti complessi in una singola frase vuol dire che è in atto il tentativo di denigrare il valore e la dignità dei singoli esseri umani e di sminuire i loro sforzi nell'affrontare le sfide con coraggio e ingegnosità.
Per dirla con Marcel, dobbiamo stare attenti a non diventare «persone dallo spirito debole» che interpretano gli eventi esterni come una sorta di «giudizio universale in miniatura», leggendo in essi messaggi di redenzione o di apocalisse.
Questo significherebbe un allontanamento dall'umanità, una rinuncia all'autonomia che può aprire un varco alla violenza. In un sistema in cui prevalgono l'economia e il denaro, e i valori umani sono misurati unicamente sulla base del reddito e della ricchezza materiale, è impossibile provare soddisfazione e sentirsi adeguati.
A metà degli anni Novanta il giornalista Robert Samuelson richiamò l'attenzione sul senso di insoddisfazione che cominciava a serpeggiare nella società americana, anche nel momento di massima espansione economica. Il senso costante di insoddisfazione e invidia crea una società in cui le passioni negative agiscono come una forza che blocca il rinnovamento.
Gli eccessi dell'ideologia
[…] Ottanta anni fa, in piena depressione economica, il socialismo - e addirittura il comunismo e il nazionalsocialismo - offrivano la loro alternativa al capitalismo. Oggi dobbiamo constatare che non c'è traccia di un nuovo paradigma. Jacques Attali, importante consigliere del presidente francese Nicolas Sarkozy, offre la seguente analisi: «La situazione è semplice: le forze del mercato controllano il pianeta. Ultima espressione del trionfo dell'individualismo, questo mercato trionfante del denaro spiega il grosso dei più recenti sussulti della storia». In altre parole, l'universalità astratta del denaro e l'universalità astratta dell'individuo in quanto forza lavoro sono le due facce della stessa medaglia.
Nella misura in cui i principi universali della libertà e dei diritti umani sono stati
elaborati nell'alveo di questo individualismo, c'è una sostanziale sovrapposizione fra capitalismo e democrazia moderna. Perciò, la crisi attuale è in effetti una crisi del sistema sociale occidentale moderno (che ha al centro il capitalismo e la democrazia) […]
[…] Affinché le misure istituzionali e giuridiche predisposte per porre un freno agli eccessi del capitalismo non siano solo rimedi estemporanei, ma facciano invece parte di una visione di ampio respiro, è indispensabile trovare un nuovo modo di pensare, un nuovo paradigma capace di penetrare fino alle fondamenta profonde della civiltà umana.
Diventa sempre più urgente scoprire prospettive e principi universali alternativi, evitando di cadere nell'errore storico dell'internazionalismo proletario. Dobbiamo elaborare una macroprospettiva e lavorare per disegnare un nuovo spirito dell'epoca. Nel bene e nel male i processi di globalizzazione hanno raggiunto un livello tale che la risposta a questa sfida epocale è diventata ineludibile. In questo senso le parole di Max Weber (1864-1920) sono illuminanti: «Sono gli interessi (materiali e ideali), e non le idee, a dominare immediatamente l'agire umano. Ma le "concezioni del mondo", create dalle "idee", hanno spesso determinato - come chi aziona uno scambio ferroviario - i binari lungo i quali la dinamica degli interessi ha mosso tale attività».
Competizione umanitaria
Vorrei prendere qui in esame alcune idee esposte da Tsunesaburo Makiguchi (1871- 1944), presidente fondatore della Soka Gakkai, nella sua opera La geografia della vita umana scritta nel 1903, che penso possano rappresentare il nuovo paradigma capace di condurci fuori da questo vicolo cieco. Mi riferisco in particolare alle possibilità che offre il concetto di "competizione umanitaria".
Nei capitoli conclusivi di quest'opera, pubblicata quando aveva solo trentadue anni, Makiguchi esamina il grande flusso della storia umana e identifica le forme di competizione prevalenti nelle diverse epoche storiche: quella militare, quella politica e quella economica. Non si tratta di demarcazioni storiche chiare e distinte. Per esempio, la competizione economica ha implicazioni militari, ed è vero anche il contrario. In altre parole, ledifferenti forme di competizione si sovrappongono e s'intrecciano in un processo di graduale trasformazione. Seguendo questo percorso con attenzione e coraggio, diverrà chiara la traiettoria dello sviluppo dell'umanità.
Makiguchi concluse la sua analisi esortando il mondo a impegnarsi in quella che definiva "competizione umanitaria". Non giunse a questa conclusione da una prospettiva sovrastorica, ma dopo aver delineato la logica interna dello sviluppo storico. Ecco come descrive la competizione umanitaria: «Raggiungere gli obiettivi non tramite la forza militare o politica ma grazie al potere intangibile che esercita naturalmente un'influenza morale. In altre parole essere rispettati piuttosto che temuti».
Queste parole mi fanno venire in mente il concetto di "potere morbido" elaborato da
Joseph Nye della Harvard University, che ho avuto il privilegio di incontrare in diverse occasioni: «Il potere morbido conduce agli effetti desiderati grazie alla forza di attrazione, e non tramite coercizione o corruzione».
Trovo che ci sia un'analoga concordanza fra il concetto di win-win world [mondo di soli vincitori, n.d.r.] elaborato dalla futurologa americana Hazel Henderson e la visione di Makiguchi che emerge da questo brano: «La cosa importante è mettere da parte le motivazioni egoistiche e sforzarsi di proteggere e migliorare non solo la propria vita ma anche quella degli altri. Bisognerebbe agire per il bene degli altri perché facendo del bene agli altri se ne fa anche a se stessi».
Sono fermamente convinto che ora, a cent'anni dalla sua formulazione, sia arrivato il momento di prendere in considerazione la competizione umanitaria come principio guida della nuova era.
Dico questo perché i valori della giustizia sociale e dell'uguaglianza, che il socialismo ha propugnato come antidoti ai mali del capitalismo, affondano le loro radici nei principi umanistici. Non dobbiamo permettere che questi ideali periscano a causa del fallimento del sistema comunista, perché ciò significherebbe far cadere nell'oblio una delle esperienze salienti del ventesimo secolo: la capacità del movimento socialista di attrarre così tante persone, soprattutto i giovani, in vaste aree del pianeta.
Occorre dunque chiedersi perché il socialismo, pur essendo basato su principi validi, abbia fallito come sistema. Per rispondere a questa domanda è opportuno riportare il giudizio di Makiguchi: «Quando la libera competizione viene ostacolata, sia dall'azione della natura sia da quella umana, si generano stagnazione, stasi e regressione».
Probabilmente il socialismo è fallito perché non ha tenuto nella giusta considerazione il valore della competizione come fonte di energia e vitalità.
La convinzione che eliminando le classi sociali e stabilendo delle condizioni di equità sarebbe nata una società veramente umana si è rivelata troppo ottimistica. La libera competizione guidata dagli impulsi incontrollati dell'egocentrismo può degenerare in una sorta di darwinismo sociale in cui i forti sottomettono i deboli; invece la competizione esercitata all'interno di un adeguato quadro di riferimento di regole e convenzioni è capace di liberare le energie degli individui e rivitalizzare la società. In ciò consiste, a mio avviso, il grande valore di questa forma dicompetizione.
Il concetto di competizione umanitaria ci costringe ad affrontare la realtà della competizione rimanendo ancorati alla solida realtà dei valori umani. La competizione esercitata all'interno di questo contesto produce una sinergia fra interessi umanitari ed energie competitive. Queste caratteristiche uniche della competizione umanitaria ne fanno il paradigma chiave per il ventunesimo secolo.
È importante a tale proposito tenere conto dell'invito di Gabriel Marcel ad avere sempre come punto di riferimento la realtà concreta. Le persone impazienti e arroganti che pensano di avere una risposta a tutto e sono pronte a offrire il loro grandioso modello per il futuro dell'umanità sono cadute vittima degli aspetti negativi dello spirito di astrazione.[…]
Universalità interiore
Gabriel Marcel non risparmiò le sue severe critiche neanche alla civiltà industriale e meccanizzata rappresentata dagli Stati Uniti: «Come possiamo non accorgerci che la tecnocrazia non fa altro che rendere astratto il nostro prossimo, inducendoci nel lungo termine a negarne l'esistenza?».
A distanza di mezzo secolo possiamo immaginare con quale perizia clinica Marcel avrebbe affondato il bisturi della critica nel mondo di quella manciata di super ricchi che perseguono enormi profitti grazie a strumenti finanziari altamente tecnologici: ossessionati come sono dalle astrazioni del denaro, i super ricchi rimangono indifferenti di fronte alla triste condizione dei poveri. Il benessere propugnato sulla negazione del prossimo è imperdonabile e insostenibile.
In una mia proposta di vent'anni fa, quando esisteva ancora l'Unione Sovietica, sostenni con forza che il nostro approccio verso i principi e le prospettive universali non deve essere esteriore e trascendente ma immanente e interiore. Questa visione fu accolta favorevolmente e ricevette il sostegno di molti intellettuali di diverse parti del mondo.
L'universalità postulata dall'ideologia e dal denaro ha un effetto corrosivo sulle persone del mondo reale, poiché l'ideologia e il denaro sono elementi esterni e trascendenti, prodotti dallo spirito di astrazione
Al contrario le prospettive e i principi che costituiscono ciò che io chiamo "universalità interiore" sono radicati nel mondo dei fatti concreti e possono essere sviluppati solo in quella cornice. Le cose veramente importanti sono sempre alla nostra portata, nel nostro ambiente concreto e più vicino a noi.[…]
Insegnando che «un singolo individuo viene usato come esempio, ma la stessa cosa si applica egualmente a tutti gli esseri viventi », il Buddismo mette in guardia contro le insidie dello spirito di astrazione. In questo contesto merita una particolare attenzione il metodo adottato da Makiguchi in La geografia della vita umana. Come si evince dallo stesso titolo dell'opera, rispetto alla geografia naturale o alla geografia umana "la geografia della vita umana" rimanda al mondo reale, alla realtà concreta della politica, dell'economia, della cultura, dell'istruzione, della religione, ecc.; in sostanza essa ha come oggetto l'ampia gamma delle attività umane in tutta la loro profondità e ricchezza. Makiguchi cita le
parole di un influente pensatore giapponese della metà del diciannovesimo secolo, Yoshida Shoin (1830-59): «Le persone non esistono separate dalla terra. Gli eventi sono inseparabili dagli individui. Se vogliamo discutere degli affari umani, dobbiamo innanzitutto studiare con attenzione la geografia».
Ancora più importante è mettere in evidenza come l'approccio di Makiguchi sia radicato in quell'universalità interiore a cui accennavo prima, il solido ancoraggio alla realtà concreta della comunità locale come piattaforma per sviluppare prospettive più ampie. Per Makiguchi, le condizioni di vaste zone della terra sono generalmente osservabili all'interno di un minuscolo pezzo di terra (lett. «sullo spazio della fronte di un gatto»). In tal senso, le caratteristiche essenziali dei fenomeni vasti e complessi
che riguardano la geografia del mondo possono essere spiegate ricorrendo agli esempi concreti di una singola città o di un villaggio rurale.
Se prestiamo attenzione alle caratteristiche particolari di un minuscolo pezzo di terra- tramite l'osservazione e l'analisi dei processi vitali che in esso si sviluppano - impareremo a cogliere le caratteristiche di un intero paese o addirittura del mondo intero[…]
Piuttosto che lanciarci verso i fenomeni vasti e complessi della vita dovremmo partire dalla realtà concreta del minuscolo pezzo di terra dove ci troviamo ora. Se ci impegniamo a guardare attentamente quella realtà riusciremo a indirizzare liberamente i nostri pensieri verso una prospettiva più ampia e accresceremo la nostra capacità di creare connessioni. Sviluppando questo nuovo tipo d'immaginazione ricco
di vitalità, cioè una profonda sensibilità verso la vita quotidiana e la vita stessa, riconosceremo come nostri vicini non solo gli amici intimi ma anche gli abitanti sconosciuti di terre lontane con le loro culture e le loro creazioni.
Chi ha sviluppato queste capacità ha in odio la guerra, che devasta la terra e uccide gli esseri umani. Una robusta umanità che ha radici profonde nella grande terra riesce a manifestarsi ovunque e in qualsiasi tempo, perfino sul campo di battaglia, come dimostra la storia seguente.
Agli inizi della guerra russo-giapponese (1904-05) vennero catturati due soldati russi.
Essendo i primi prigionieri, furono fatti sfilare pubblicamente perché tutti potessero vederli. Fra i soldati giapponesi ce ne erano alcuni che non volevano assistere allo spettacolo. Quando il comandante della compagnia chiese il motivo, uno dei soldati replicò: «Nel mio villaggio facevo l'artigiano. Quando ho messo l'uniforme, sono diventato un combattente per il mio paese. [...] Non so che genere di uomini siano, ma sebbene siano nostri nemici anche loro combattono per la loro terra. Deve essere molto triste per loro, ora che hanno avuto la sfortuna di essere catturati, essere
trascinati qua e là come fenomeni da baraccone. Mi dispiace e non voglio insultarli o umiliarli ulteriormente osservandoli con aria sciocca».
[...] Quando partiamo dal nostro ambiente circostante e dai fatti concreti, creando nuove amicizie una dopo l'altra per allargare la rete della solidarietà umana, si apre davanti a noi il sentiero autentico della pace. Se non perseveriamo in questo sforzo l'ideale di una pace duratura sarà irraggiungibile. Condividere con gli altri questa particolare coscienza e sensibilità verso la dimensione quotidiana della vita - decontaminati dallo
spirito di astrazione - significa nutrire e coltivare la propria universalità interiore. Questo è l'antidoto più efficace contro le patologie della nostra epoca, una garanzia certa contro quelle forme di aberrazione in cui gli esseri umani sono sacrificati sull'altare dell'ideologia, ogni mezzo diventa lecito per raggiungere i propri fini e la tensione verso un futuro utopico prende il sopravvento sulla concretezza del presente.
Sono convinto che la ricerca costante dell'universalità interiore sia la chiave per dar vita a un'epoca carica di umanità, capace di durare a lungo.
Condividere il futuro
Basandomi sul concetto di competizione umanitaria vorrei avanzare alcune proposte per contribuire a risolvere la complessa trama dei problemi che l'umanità sta affrontando in questo frangente.
Oltre a un dissesto economico di dimensioni planetarie, il mondo è alle prese con una serie di problemi collegati fra loro: il cambiamento climatico, il degrado ambientale, la penuria di cibo, la carenza di energia e la povertà. Dal punto di vista storico la crisi che stiamo vivendo sembra presentare alcuni fra gli aspetti più allarmanti che caratterizzarono la grande depressione negli anni Trenta e la crisi dei primi anni Settanta.[…]
Durante la prima metà degli anni Settanta, l'improvviso mutamento della politica economica e monetaria statunitense - definito "Nixon shock" (l'annuncio nel 1971 che il dollaro non era più automaticamente convertibile in oro, con l'imposizione di una sopratassa del dieci per cento su tutte le importazioni negli USA, e la storica visita di Nixon in Cina nel 1972, che colse del tutto impreparata la diplomazia mondiale, n.d.r.) - portò alla crisi petrolifera, e sempre in quel periodo cominciarono a manifestarsi nuove problematiche a livello mondiale. Per far fronte alla situazione
furono organizzate sotto l'egida delle Nazioni Unite le prime conferenze a livello internazionale sulle questioni ambientali e alimentari, e le democrazie più industrializzate si riunirono per la prima volta in un vertice (G6) a Rambouillet, in Francia. Da queste iniziative nacquero importanti organismi di cooperazione internazionale ancora oggi operativi, che purtroppo non hanno funzionato in modo efficace poiché gli interessi nazionali dei vari paesi ne hanno spesso frenato l'azione.
Prova ne è il fatto che i problemi emersi a quel tempo rimangono ancora largamente irrisolti. Oggi dobbiamo dimostrare più coraggio e agire sulla base di una visione più ampia rispetto alla scarsa lungimiranza con cui la comunità internazionale ha affrontato le crisi che si sono succedute nei decenni passati.
Negli Stati Uniti, che sono l'epicentro della attuale crisi finanziaria globale, il "cambiamento" è stato il tema centrale della campagna elettorale di Barack Obama, eletto recentemente presidente degli Stati Uniti. Nel suo discorso di insediamento ha affermato: «Il mondo è cambiato e noi dobbiamo cambiare con esso. [...]. Quello che ci è richiesto è una nuova era della responsabilità». La sfida per generare il cambiamento non riguarda solo gli Stati Uniti ma il mondo intero. In questa sede vorrei indicare tre punti fondamentali che possono aiutare a trasformare la crisi mondiale in corso in un catalizzatore capace di aprire nuove prospettive per il futuro dell'umanità, invitando all'utilizzo della competizione umanitaria come strumento capace di creare una comunità globale caratterizzata dalla coesistenza pacifica.
Il primo punto è mettere in campo azioni concertate nell'affrontare i problemi
ambientali, il secondo è la condivisione della responsabilità dei beni pubblici globali attraverso la cooperazione internazionale e infine il terzo è la condivisione degli sforzi per la pace per giungere all'abolizione delle armi nucleari.
La questione ambientale
Vorrei discutere il primo di questi tre punti con uno specifico riferimento alla
questione del cambiamento climatico.
Il riscaldamento globale sta avendo un profondo impatto sugli ecosistemi esistenti, e oltre a essere il principale responsabile dei disastri climatici può contribuire ad aggravare i conflitti armati, la povertà e la fame. È veramente l'emblema della crisi del ventunesimo secolo.
Il Segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon, che ha indicato il
cambiamento climatico come una delle questioni centrali di cui si dovrebbe occupare l'ONU, ha lanciato un monito: «Tuttavia, nel lungo periodo, nessuno, ricco o povero, rimarrà immune dai pericoli provocati dal cambiamento climatico». In altre parole, nessuno può rimanere spettatore: il cambiamento globale è un problema che riguarda tutti.
Il cambiamento climatico è una crisi "multidimensionale" che costituisce una minaccia per il futuro dell'umanità e porrà le generazioni future di fronte a tremende sfide.
Purtroppo dobbiamo constatare che lo scorso anno i negoziati sulla riduzione delle emissioni di gas a effetto serra non hanno fatto registrare progressi significativi. È indispensabile che vengano avviate discussioni fruttuose in tempo utile perl'appuntamento di dicembre di quest'anno, la data entro cui si dovrà giungere a un accordo sul nuovo quadro di riferimento che sostituirà il protocollo di Kyoto in vigore fino alla fine del 2012. È cruciale che oltre al rinnovato impegno da parte dei paesi industrializzati, anche i paesi emergenti e in via di sviluppo svolgano un ruolo attivo nella definizione del nuovo accordo post-Kyoto.
La domanda che dobbiamo porci è in che modo possiamo mettere in campo azioni condivise. La politica energetica è certamente un ambito attorno a cui è possibile costruire forme di cooperazione internazionale. Da una parte c'è la necessità di assicurare adeguate risorse energetiche ai paesi in via di sviluppo e a quelli emergenti, dall'altra la questione dell'energia nel suo complesso deve diventare la chiave di tutti gli sforzi che i paesi sviluppati devono intraprendere per attuare la transizione verso una società a "basso carbonio" e senza sprechi.
Considerando che quasi il sessanta per cento delle emissioni di gas a effetto serra sono prodotte dal consumo di combustibili fossili, mettere in campo azioni concertate a livello globale sulle politiche energetiche potrebbe essere un modo efficace per combattere il cambiamento climatico.
Il piano di stimolo economico e la strategia per la creazione di posti di lavoro predisposti dal presidente americano Barack Obama puntano alla creazione di nuove industrie e nuovi posti di lavoro in settori come lo sviluppo di fonti energetiche alternative, tanto che si è parlato di un "New Deal verde". Analogamente un crescente numero di paesi - compresi il Giappone e la Corea del Sud - stanno valutando o già attuando misure economiche d'emergenza tese a promuovere gli investimenti nei settori dell'energia e dell'ambiente.
Nella mia Proposta di pace dell'anno passato ho espresso l'auspicio che la
competizione umanitaria diventi il cuore degli sforzi finalizzati a risolvere la crisi ambientale globale, e ho sollecitato l'adozione di misure e iniziative volte a incentivare l'energia rinnovabile e l'efficienza energetica, allo scopo di realizzare la transizione dalla dipendenza dai combustibili fossili a una società a basso carbonio e senza sprechi. I recenti sviluppi suggeriscono che ci stiamo muovendo in questa direzione.
L'istituzione dell'Agenzia internazionale per la promozione delle energie rinnovabili (IRENA, International Renewable Energy Agency), nata grazie al sostegno di oltre cinquanta paesi, ne è un esempio. Questa organizzazione intergovernativa fondata a Bonn, in Germania, il 26 gennaio di quest'anno, intende promuovere a livello internazionale l'uso delle energie rinnovabili nei paesi industrializzati, in quelli emergenti e in quelli in via di sviluppo.
Avendo io chiesto sette anni or sono l'istituzione di un organismo simile che si occupasse della promozione delle fonti di energia rinnovabile, accolgo con soddisfazione la creazione di questa nuova agenzia internazionale.
Riguardo alle problematiche connesse all'efficienza energetica, nel dicembre del 2008 i ministri con la delega all'energia di alcune nazioni, tra cui i paesi del G8, la Cina, l'India e il Brasile, hanno sottoscritto una dichiarazione comune per l'istituzione nel 2009 di un Accordo internazionale di cooperazione nell'ambito dell'efficienza energetica (IPEEC) e la collocazione del suo segretariato all'interno della Agenzia internazionale per l'energia (IEA, International Energy Agency).
Questi nuovi organismi devono essere pienamente operativi entro la fine del 2012, quando scadrà il primo periodo di azione del protocollo di Kyoto. In futuro potrebbero diventare un punto di incontro per costruire la cooperazione
internazionale e giocare un ruolo chiave nell'attuazione della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici del 1992.
Oltre a queste misure propongo che in futuro venga creata, sotto l'egida delle Nazioni Unite, un'agenzia internazionale per l'energia sostenibile che agevoli il lavoro di queste due organizzazioni (IRENA e IPEEC), affinché la cooperazione internazionale sulle politiche energetiche possa radicarsi profondamente in tutta la comunità mondiale.
Qualcuno potrebbe esprimere perplessità di fronte a queste iniziative, obiettando che il trasferimento di tecnologie avrebbe l'effetto di indebolire la competitività economica dei singoli paesi e che i costi per finanziare la cooperazione internazionale comporterebbero un ulteriore aggravio per i contribuenti.
A mio avviso la cooperazione internazionale finalizzata all'obiettivo condiviso di invertire la tendenza al riscaldamento globale si accorda con il principio che Makiguchi considerava centrale per l'attuazione della competizione umanitaria: «Facendo del bene agli altri facciamo del bene anche a noi stessi».
Infatti, partendo da questa prospettiva più ampia, gli sforzi volti a far del bene all'umanità nel suo complesso avranno conseguenze positive per ogni singolo stato. Questa nuova agenzia per l'energia sostenibile può essere pensata come uno spazio per rafforzare la solidarietà e come un centro dove far confluire i suggerimenti provenienti dai governi locali, dal settore privato e dalle organizzazioni non governative, al fine di costruire una società globale sostenibile.
Attraverso un sistema aperto di registrazione, tutte le organizzazioni interessate potrebbero documentare le proprie attività e le buone pratiche, che sarebbero poi rese disponibili in una banca dati presente su Internet, fornendo così una piattaforma per lo scambio di informazioni e le ricerche di partenariato.
Nel novembre del 2008 l'Istituto Toda per la pace globale e la ricerca politica, affiliato alla Soka Gakkai Internazionale, ha organizzato una conferenza dal titolo "Affrontare il cambiamento climatico con una nuova etica ambientale".
Tra i punti focali della conferenza, la necessità di creare delle sinergie fra i governi, il settore privato e la società civile, sulla base del loro comune senso di responsabilità verso le generazioni future. A tal fine, nel corso della conferenza è stata ribadita l'importanza di ottenere l'appoggio e la partecipazione attiva di ampi settori dell'opinione pubblica.
A partire dal 2002 la Soka Gakkai Internazionale ha organizzato la mostra I semi del cambiamento: la Carta della Terra e il potenziale umano in venti paesi e in otto lingue diverse, in collaborazione con la Carta della Terra. La SGI ha anche promosso dei progetti sull'ambiente, come per esempio programmi di imboschimento in diversi paesi del mondo, collaborando con organizzazioni che perseguono finalità simili.
Le singole iniziative sull'ambiente sono molto preziose, tuttavia gli sforzi di cooperazione generano un notevole effetto moltiplicatore.
Quest'anno il Decennio delle Nazioni Unite per l'educazione allo sviluppo sostenibile sarà a metà del suo cammino; un'iniziativa importante che sottolinea la necessità di coinvolgere attivamente i cittadini comuni nelle attività educative e nelle campagne di sensibilizzazione.
Responsabilità per il futuro
Il secondo punto che vorrei indicare è la condivisione della responsabilità dei beni pubblici globali attraverso l'attuazione di forme di cooperazione internazionale. Uno degli elementi chiave della cooperazione in questo ambito potrebbe essere la creazione di una banca alimentare mondiale.[…] Per garantire stabilmente il diritto al cibo per tutti gli abitanti della terra dobbiamo predisporre un meccanismo che consenta di avere una certa quantità di scorte di cereali sempre disponibili come bene pubblico globale. Se si verificasse una crisi alimentare queste scorte potrebbero essere distribuite per fronteggiare l'emergenza oppure essere immesse sul mercato per calmierare i prezzi.
Proposi l'istituzione di una banca mondiale alimentare per la prima volta nel 1974, preoccupato di come gli egoismi nazionali stessero prevalendo sugli interessi umanitari riguardo al problema della fame nel mondo, e perché ritenevo che i beni essenziali per la sopravvivenza non dovessero essere oggetto di trattative politiche.
È del tutto ovvio che ciascun paese voglia garantire la sicurezza alimentare del proprio popolo, ma questo non può avvenire a spese degli altri. Occorre stabilire la sicurezza alimentare a livello mondiale.
La crisi alimentare è stata uno dei punti discussi dal vertice dei G8 che si è svolto a Toyako nell'Hokkaido a luglio dell'anno scorso. Nella Dichiarazione finale sulla sicurezza alimentare mondiale i leader del G8 si sono impegnati per la prima volta a «studiare le opzioni possibili per adottare un approccio concertato sulla gestione delle scorte, e in particolare a valutare i vantaggi e gli svantaggi di un sistema "virtuale" delle riserve per scopi umanitari coordinato a livello internazionale». Prima dell'inizio del vertice il presidente della Banca mondiale Robert Zoellick ha sollecitato i leader del G8 a valutare i vantaggi di un tale sistema di riserva alimentare. È giunto il tempo di fare progressi nella realizzazione di queste
iniziative.[…] […]Attualmente sono allo studio altri strumenti, come la tassazione a livello internazionale delle transazioni in valuta e la carbon tax. Ci si augura che sempre più stati aderiscano all'iniziativa. Questi finanziamenti sono indispensabili per far fronte ai doveri umanitari del ventunesimo secolo, che richiedono uno sforzo di cooperazione su scala mondiale equivalente a quello attuato dal Piano Marshall nel secolo scorso.
C'è un urgente bisogno di stimolare le discussioni preliminari in vista della Quarta conferenza ONU sui paesi meno sviluppati in programma nel 2011 e di dare impulso al raggiungimento degli Obiettivi di sviluppo del millennio. Dobbiamo costruire dei solidi sistemi di reti di sicurezza per proteggere le persone più vulnerabili del mondo anche dopo il 2015, la data fissata per il raggiungimento di tali Obiettivi.
La questione del "miliardo di ultimi" (bottom billion) - cioè i più poveri fra i poveri di cinquantotto paesi, che per lungo tempo sono rimasti tagliati fuori dalla crescita economica mondiale - è stata l'anno scorso uno dei punti al centro del dibattito all'ONU. La profonda disparità che esiste nel riconoscimento del valore della vita e della dignità umana, virtualmente predeterminati dal luogo di nascita, è un'ingiustizia inaccettabile che deve essere eliminata.
Se intendiamo affermare il diritto alla dignità umana - cioè esprimere quel sentimento di compassione che secondo Jean-Jacques Rousseau (1712-78) animava addirittura le primissime comunità umane - dovremmo mobilitarci per rimuovere questa ingiustizia.
Il premio Nobel per l'economia Amartya Sen ha osservato: «La povertà va considerata come privazione delle capacità fondamentali dell'essere umano e non come pura e semplice scarsità di reddito».
Abbiamo assolutamente bisogno di ricevere il sostegno della comunità internazionale per aiutare questo miliardo di poveri ad affrancarsi dalle difficili e spesso umilianti condizioni di vita in cui tali persone sono costrette a vivere.
Il Giappone riuscì a riprendersi in tempi brevi e con successo dalle devastazioni subite durante il secondo conflitto mondiale. Mi auguro sinceramente che il mio paese voglia fare buon uso della sua esperienza, dimostrando di saper assumere un ruolo guida negli sforzi mirati ad affermare il diritto di tutte le persone a vivere in condizioni pacifiche e umane come un bene comune globale per il ventunesimo secolo.[…]
Disegnare il cambiamento
[…]Le parole con cui si apre la Carta delle Nazioni Unite «Noi, i popoli [...]» non devono rimanere solo una frase retorica, ma devono rappresentare uno sprone a fare di questa organizzazione un luogo dove trovino cittadinanza le preoccupazioni e la vita delle persone reali. Le innovazioni che ho illustrato sarebbero un passo concreto verso il raggiungimento di questo obiettivo. […]
ll dialogo fonte creativa
Il dialogo offre infinite possibilità; è una sfida che chiunque, in qualsiasi luogo si trovi, può intraprendere per realizzare la trasformazione della cultura della violenza in una cultura della pace.[…]
Sorretto da questa profonda fiducia nel potere del dialogo, fra il 1974 e il 1975, nel periodo di maggiore tensione della guerra fredda, ho compiuto ripetuti viaggi in Cina, Unione Sovietica e Stati Uniti. In veste di privato cittadino, sinceramente preoccupato per le conseguenze del conflitto in atto, ho avuto incontri con i massimi responsabili politici di quei paesi e mi sono adoperato per allentare e mitigare il clima di tensione.
Sin da allora ho sempre cercato di contrastare le forze della divisione, costruendo ponti di amicizia e di fiducia in tutte le parti del mondo.[…]
Se rimaniamo rinchiusi negli schemi di una determinata ideologia, di una cultura etnica o di una religione - imprigionati dunque nello spirito di astrazione di cui ho parlato nelle pagine iniziali della mia Proposta - saremo alla mercé di un moto alterno di flusso e riflusso e rimarremo arenati nelle secche della storia, senza nessuna possibilità di progredire.
Al contrario se spingiamo la nostra ricerca al di là delle definizioni arbitrarie e superficiali e ci impegniamo a dialogare con gli altri individui, dando vita a una interazione intensa e spontanea di cuore e mente, saremo capaci di provocare i «profondi e lenti movimenti»che secondo Toynbee creano veramente la storia umana.
Sorretto da questa convinzione, ho dialogato con numerosi personaggi di spicco e pensatori degli ambiti più diversi. Senza farmi spaventare dalle barriere che dividono le persone ho viaggiato in paesi spesso in conflitto fra loro, cercando di aprire una possibilità di dialogo e comunicazione laddove non ne esisteva alcuna.
Animato dal desiderio di condividere con un numero sempre maggiore di persone le lezioni che ho imparato grazie a questi dialoghi, ne ho pubblicati molti in forma di libro (cinquanta sono già usciti e venti sono in preparazione).
La Soka Gakkai è nata nel 1930, nel pieno di una crisi mondiale.
La Soka Gakkai Internazionale è stata fondata nel 1975, un altro momento di crisi. Da allora ci siamo costantemente dedicati a promuovere iniziative a sostegno delle Nazioni Unite e ci siamo sempre sforzati di contribuire al benessere della comunità in cui ciascuno di noi vive, creando una cultura di pace attraverso il dialogo a livello di base.
I nostri sforzi traggono ispirazione dalla visione della competizione umanitaria formulata da Makiguchi e dai ripetuti appelli di Toda a sradicare la miseria dalla faccia della terra.
Legata da un impegno comune verso l'umanesimo e il raggiungimento del bene più grande, la nostra rete di cittadini si è diffusa in centonovantadue paesi del mondo. La visione che Toda aveva della Soka Gakkai come di «un magnifico mezzo capace di nutrire e dare potere alla gente», e che condivise con me nel corso della nostra lunga amicizia, sta gradualmente diventando una realtà.
Mirando all'ottantesimo anniversario della fondazione della Soka Gakkai e al trentacinquesimo anniversario della fondazione della SGI nel 2010, siamo
determinati a continuare a collaborare con le persone di buona volontà verso una nuova era di pace e sviluppo umano.
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