Glenn M. Murcutt: Discorso di accettazione del Premio Pritzker 2002
traduzione di Franca Bossalino

All’inizio della mia professione privata -alla fine del 1969- mio padre disse: <Figliolo, ricordati che devi cominciare nel modo in cui ti piacerebbe finire>.  E aggiunse < per ogni compromesso fatto consapevolmente, il risultato rappresenterà il tuo prossimo cliente>. Duro, ma un buon consiglio.

Sebbene io abbia lavorato da solo per circa 32 anni, ho avuto il sostegno di molti altri che hanno contribuito al mio amore per l’architettura. Non riconoscerli  sarebbe ingiusto. Mies van der Rohe disse: <Insieme ad ogni buon edificio c’è un buon cliente> Ho avuto tanti clienti meravigliosi in tutta la mia carriera e oggi ce ne sono altri che debbono aspettare più di tre anni perchè io possa cominciare a lavorare per loro.
Ho avuto come collaboratori due ingegneri, padre e figlio... come potrebbe concretizzarsi il nostro pensiero senza dei buoni costruttori? Poi tanti altri:  scrittori, fotografi e accademici, colleghi, scuole di architettura in Finlandia e negli Stati Uniti, mia moglie e la mia famiglia.... tutti hanno collaborato meravigliosamente e sono qui stasera a festeggiare con me questo incredibile evento. Grazie a tutti voi.
Quale spazio e luogo potrebbero essere più meravigliosi del Campidoglio a Roma per celebrare questo evento? Quanto si può essere fortunati?  La giuria ogni anno prende in considerazione centinaia di architetti per il Pritzker Prize, molti dei quali meritano di riceverlo.
Ma soltanto uno viene scelto. Ecco quanto si può essere fortunati! Mi unisco alla lista di coloro che l’anno ricevuto per i quali ho il più profondo rispetto e alcuni dei quali, oggi, sono miei amici. E questo pomeriggio sono qui, come tutti voi, in mio onore. Grazie.

Sono cresciuto in una località a 7 km a nord di Sidney. Il paesaggio consisteva della pietra arenaria di Sidney e di un porto tipico della costa che, quando sono arrivato, nel 1945, era nelle condizioni originarie. In questo ambiente imparai molto sulla propagazione della flora australiana, imparai quali piante crescevano e dove; che cosa attirava i superbi uccelli indigeni, gli insetti e gli animali. Imparai  come specie particolari di alberi crescevano in modo differente, molto differente, se si trovavano ai piedi di una collina dove il livello dell’acqua era più alto, la pressione dei venti minore, dove i nutrienti erano di più; e imparai che lo stesso tipo di albero aveva  una forma completamente diversa se cresceva in cima alla collina dove era esposti al vento che soffia di traverso e alla forza degli elementi, dove le precipitazioni sono minime, e il suolo è pieno di crepe. Questa fu una conoscenza del luogo, per me, estremamente importante. Imparai a conoscere la forza, la delicatezza  e la trasparenza e molti dei paesaggi australiani dove la luce separa gli elementi a differenza di quanto accade in molta parte dell’Europa dove la luminosità serve a connettere gli elementi del paesaggio. Questo ha contribuito a creare un’attitudine molto diversa verso la leggibilità, la struttura, la leggerezza.
Sono cresciuto in una famiglia di cinque figli e due genitori. Nella casa c’erano sette pianoforti, su tre livelli. Il rumore era terribile. C’era sempre qualcosa in costruzione intorno alla casa: canoe, piccole barche, case. Ho imparato che avevo bisogno del silenzio, di molto silenzio per lavorare. Quella è stata una grande lezione per me, il livello del rumore mi fece desiderare il silenzio.
Nei giorni di vacanza dalla  scuola venivo reclutato da mio padre nella bottega di falegnameria, il che allora mi indignava, ma lo assistevo  nella costruzione di barche, di scale, di finestre e altro. Fu uno straordinario tirocinio, anche se allora per me era molto faticoso. Dal 1946 in poi, mio padre portò in Australia un certo numero di riviste, in particolare dagli Stati Uniti, e fui colpito da una in particolare che illustrava le opere di Frank LLoyd Wright,  di Mies, di Gordon Drake altri. A quell’epoca avevo 15 o 16 anni e quelle opere ebbero una grande influenza su di me.
I miei studi, non sono stati facili, ma finalmente, all’Università,  il corso di costruzioni venne sdoppiato  ed io fui abbastanza fortunato ad avere come insegnante Noel Bazeley. Molti studenti lo disprezzavano, ma mentre l’altro gruppo faceva la  costruzione di  fondazioni, di travetti, di solai e di muri, Bazeley ci aveva dato un tema: Discussione sulla Continuità in Natura. Che bell’argomento. Questo nel primo quadrimestre. Nel secondo, la discussione riguardava  la relazione tra natura e ambiente costruito. Che meraviglioso inizio per un giovane studente di architettura, per me in particolare. Questa era una cosa straordinaria nel 1956.

Lavorai a tempo pieno negli studi con persone come Neville Guzman e Bill Lucas, dei bravi architetti moderni, molto moderni. Lucas aveva progettato una delle più leggere “case-leggere” che Sidney avesse  mai visto, una delle  opere più straordinarie ancora esistenti. Poi lavorai con Allen e Jack un altro bello studio. Erano posti meravigliosi in cui lavorare negli anni ’50 e ’60.

 All’università fui bocciato in un esame dal titolo Sole e Ombra. Dovetti ripeterlo e mi accorsi che poteva essere un punto di svolta per  la comprensione dell’importanza dell’argomento e della direzione che avrebbe potuto prendere il mio pensiero. Il fallimento è stato da allora portatore di grandi opportunità. Il fallimento è una grande esperienza formativa.

Il mio primo  viaggio, dopo la laurea, lo feci nelle isole della Grecia e in Europa, comprese le regioni nordiche. Imparai molto sull’unità dei materiali, sulla continuità dello spazio, sull’imitazione dei materiali, sull’intaglio dei materiali, sull’inevitabilità del movimento, sull’unità del colore, sulla riflessione, su come il materiale può assorbire o riflettere la luce e molte altre cose. Imparare a minimizzare l’uso di un materiale  per fare molte cose è stato significativo per me. Nelle regioni nordiche dell’Europa visitai le opere di Jorn Utzon, tra cui le sue meravigliose King Houses. Poi sono andato in Finlandia a vedere le opere di Aalto, grazie al consiglio di un amico di Londra, Keith Cottier, che mi disse: <Non tornare in Grecia, vai a vedere Aalto; di tutte le persone che conosco tu sei quella che dovrebbe vedere i suoi edifici> Seguii il suo consiglio, ti ringrazio Keith.

 Nel 1969 decisi di cominciare la professione. Non avevo lavoro, ma la maggior parte di noi, a quei tempi, era abbastanza ottimista. Quindi, che cosa feci nei primi sei mesi? Telefonai ai vari produttori  di profilati metallici che trovai sui cataloghi e li invitai a venire da me; fin da allora ero interessato a usare componenti standard invece che progettare ogni elemento. Questo rende il dettaglio molto più semplice e decisamente forte. Il secondo viaggio lo feci in Francia e in Spagna. Vidi la Maison de Verre. Era un edificio liberatorio. Era un edificio del 1928 di Pierre Chareau e Bernard Bijvoet, un edificio moderno che non era un ’ismo’, che aveva vita. Era un progetto aperto e aveva un futuro pur essendo stato costruito nel passato. Che bello trovare un edificio del passato che è ancora vivo, moderno e che ha un futuro. E’stata un’esperienza importante e cruciale.
Ho anche incontrato il grande architetto spagnolo Jose Coderch a Barcellona il quale fece anche qualcosa per me. In quel periodo soffrivo molto nel progettare ed è così ancora adesso. Ma allora pensai che quella sofferenza dipendesse da qualcosa che mi mancava. Coderch,  all’età di 72 anni, disse: <ogni nuovo progetto mi fa soffrire>. E mi resi conto che la sofferenza è un ingrediente essenziale per ogni nuovo progetto, altrimenti perde forza. Coderch aggiunse:<Lo dico anche ai miei studenti, dovete mettere nel progetto, innanzi tutto, la fatica, poi l’amore e infine, la sofferenza> E anche se il risultato non sarà bellissimo, mostrerà la cura e la dedizione.>

Ho sempre creduto nella scoperta piuttosto che nella creatività. Credo che tutto ciò che esiste o che ha la potenzialità di esistere è qui per essere scoperto. Noi non lo creiamo, credo infatti che noi lo scopriamo. Considero l’architettura come un percorso di scoperta. Anche mettere insieme questo discorso di accettazione del premio ha costituito una terribile sfida, in questo senso.
I miei familiari vi diranno che sono uno spirito irrequieto e so che è vero. Ho sempre voluto spingere al massimo, in ogni situazione. So che  qualunque cosa io stia facendo può essere fatta meglio. Sono inflessibile nel perseguire i miei ideali.

Adesso bisogna che vi racconti qualcosa sul perchè io faccia le cose come le faccio. Lavoro da solo perchè amo il silenzio. Lavorando da solo mi libero dalla pressione della responsabilità dello staff, posso viaggiare e tenere studi di progettazione in molte università internazionali dove posso insegnare e trasmettere idee e attitudini agli studenti; loro sono gli architetti del futuro. Comunque quando un progetto lo giustifica, lavoro in collaborazione con architetti per i quali ho grande rispetto. Questo è un modo che mi consente di estendere la mia professione. Il lavoro che non posso fare lo passo ai giovani, bravi laureati, giovani architetti ai quali ho insegnato, affinché possano avviare la loro attività professionale.

Non ho voluto impegnarmi in lavori a grande scala, perchè so che ho bisogno di variare per stimolare le mie energie. Mi stanca lavorare su un progetto e con lo stesso cliente per troppo tempo e per un progetto più grande ci vogliono anni. Lavorare su molti progetti più piccoli implica  molti clienti. Questo offre l’opportunità di molta sperimentazione. Sono  consapevole, tuttavia del fatto che  ci sono studi, come quello di Renzo Piano; e Frank Gehry che ottengono molto di quello che io mi aspetto, ma a una scala più grande.
 
Lavorare fuori dell’Australia significherebbe dover assumere altre persone. Da solo, sarebbe impossibile per me lavorare all’estero e nel mio paese allo stesso tempo, perchè finirei col compromettere la mia professione qui. L’Australia mi offre paesaggi completamente diversi e una ampia gamma di climi, essendo grande quanto l’America ed estesa quanto la parte del mondo che va dalla costa occidentale della Spagna ad Israele e dal nord Africa all’Artico: potete immaginarne le potenzialità. Aggiungete alla costa l’interno e i rilievi, le possibilità sono enormi. Ironicamente, la consapevolezza dei miei limiti fa aumentare le opportunità che mi vengono offerte. Lavorare con gli studenti e con i colleghi è molto gratificante. Tra di noi c’è un’amicizia meravigliosa che sazia in qualche modo il mio spirito nomade.
testo originale

Estratto dalla relazione della Giuria del Pritzker Price 2002
<Glenn Murcutt è un modernista, un naturalista, un ambientalista, un umanista, un economista e un ecologista che ingloba tutte le discipline nella sua professione  di architetto che -dalla ideazione alla realizzazione -lavora da solo ai suoi progetti e soltanto in Australia, la sua terra d’origine.Sebbene le sue opere vengano talvolta descritte come sintesi di Mies van der Rohe e della woolshed indigena australiana, la lista dei  committenti  già soddisfatti e di quelli  che  aspettano il loro turno, sono una prova sufficiente  per affermare che le sue case costituiscono  soluzioni uniche e corrispondenti alle esigenze di ciascuno.. In generale, rifiuta i grandi progetti che comporterebbero una espansione della sua dimensione professionale e la rinuncia alla personale attenzione dedicata al dettaglio, in ogni progetto. E’ un architetto del luogo  e i suoi  edifici  rispondono al  paesaggio e al clima.[.....]
[...] Murcutt è un architetto tecnicamente innovativo, capace di trasformare la sua sensibilità  nei confronti dell’ambiente e della località, in opere d’arte schiette, totalmente oneste e non appariscenti. Le sue case sono finemente accordate alla terra e al clima. Usa una varietà di materiali che va dal metallo al vetro alla pietra al mattone e al cemento, sempre scelti –principalmente- con la consapevolezza dell’energia necessaria alla loro produzione. Usa la luce, l’acqua, il vento, il sole e  la luna, nell’elaborazione dettagliata del modo in cui la casa funzionerà e come risponderà al suo ambiente. Si dice che le  sue strutture galleggiano nel paesaggio, o per dirlo con le parole degli aborigeni dell’Australia occidentale che Murcutt ama citare, “toccano la terra  con leggerezza” Murcutt ama  spesso citare anche H.D.Thoreau che diceva: <Dal momento che la maggior parte di noi passa la vita in attività ordinarie  la cosa più importante è farle straordinariamente bene>.  Con il premio Pritzker 2002 la giuria riconosce che Glenn Murcutt è più che all’altezza di quell’adagio>.
testo originale

Links
Kenneth Frampton, The Architecture of Glenn Marcus Murcutt, 2002


 
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